Dal Canada arrivano messaggi contrastanti riguardo alla questione ambiente. Se da una parte il paese si rende conto del problema e per questo ha dichiarato l’emergenza climatica, dall’altra subito dopo dà il via libera all’espansione di un grande oleodotto.
Dal Canada arrivano messaggi contrastanti riguardo alla questione “ambiente”. Se da una parte il paese si rende conto del problema e per questo ha dichiarato l’emergenza climatica, dall’altra subito dopo dà il via libera all’espansione di un grande oleodotto.
Lunedì il parlamento canadese ha approvato una mozione presentata dal ministro per l’ambiente e il cambiamento climatico, Catherine McKenna, che definisce il cambiamento climatico una “vera e urgente crisi, guidata dall’attività umana” e chiede al governo di ridurre le emissioni per rispettare gli impegni di Parigi.
Il giorno successivo, però, sembra che questo sia stato già dimenticato. Lo stesso paese, infatti, ha approvato l’espansione di un enorme oleodotto che aumenterà la produzione di petrolio ad Alberta e libererà un’enorme quantità di gas serra nell’atmosfera.
A dare l’ok è stato, in una mossa subito condannata dagli ambientalisti, il gabinetto di Justin Trudeau che ha approvato l’espansione del gasdotto Trans Mountain (TMX) secondo la logica (grazie alla quale è stato anche eletto) che far crescere la classe media e combattere il cambiamento climatico sono due obiettivi non in disaccordo.
Trudeau ha dichiarato di impegnarsi affinché ogni dollaro guadagnato dal progetto di espansione sia investito nella transizione del Canada verso l’energia verde.
I lavori per ampliare l’oleodotto inizieranno già nel 2019 ma la battaglia da parte degli ambientalisti e da chi è all’opposizione è stata subito annunciata. Tanto che, già questo sabato, è prevista una manifestazione che occuperà l’autostrada che porta all’impianto.
Gli esperti, d’altro canto, si mostrano convinti che il Canada non possa raggiungere gli obiettivi climatici di Parigi senza ridurre le emissioni del settore petrolifero e del gas. Quindi ampliare l’oleodotto è senza dubbio un controsenso rispetto agli impegni presi.
E’ in realtà già la seconda volta che Trudeau approva l’espansione di questo oleodotto. La prima nel novembre 2016, ma lo scorso agosto una decisione della Corte d’appello federale aveva annullato tale approvazione, dichiarando che il governo non aveva correttamente consultato le First Nation (popolazioni indigene canadesi) che si trovano lungo il tracciato dell’oleodotto, e il National Energy Board (NEB), l’autorità di regolamentazione.
In risposta, il governo ha avviato nuove consultazioni con le popolazioni indigene e con il NEB che ha pubblicato un rapporto in cui si rileva che il traffico marittimo avrebbe “effetti negativi” significativi sulle orche ma, si conclude: l’espansione deve andare avanti comunque.
L’avvocato della West Coast Environmental Law, che difende le First Nations contro il gasdotto, ha fatto un parallelismo molto azzeccato sulla contraddittoria situazione del Canada che da una parte dichiara l’emergenza climatica e dall’altra approva l’espansione di un oleodotto:
“È come dire che dobbiamo continuare a vendere sigarette per avere soldi per combattere il cancro”
La sfida legale è ora, secondo l’avvocato, quella di ritardare i lavori abbastanza da rendere economicamente difficile giustificare la costruzione della nuova parte dell’impianto.
Nel frattempo, alcuni gruppi delle First Nations si stanno preparando a combattere la costruzione dell’oleodotto sui loro territori.
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Francesca Biagioli