Complice una classe politica che fomenta l’odio attraverso slogan: “Pensiamo prima agli italiani” e un’informazione deviata a cui giova mantenere un livello culturale molto basso e pressoché formato da un “l’ho sentito dire”, la stragrande maggioranza degli italiani barcolla nel buio quando si parla di immigrati.
Ma resta di fatto che seppur con un’ignoranza di base che non dovrebbe rendere lecito alcun commento sul tema, il popolo si sente legittimato a farlo sui social e per strada, al supermercato e in ufficio. Insomma sempre e comunque.
I primi ad aver preso un abbaglio sono tutti coloro che pensano che un immigrato in Italia riceva 35 euro al giorno per vivere da dio sulle spalle dei poveri italiani che si fanno un mazzo così, per arrivare a fine mese.
E allora parliamo di questi 35 euro dati ai richiedenti asilo o rifugiati.
Innanzitutto i 35 euro che sono il tetto massimo della quota ministeriale (questo significa che possono essere anche di meno) non sono previsti per tutti gli immigrati, ma solo per coloro che entrano a far parte di progetti ministeriali, quali ad esempio Sprar, sigla di Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiato (farò un capitolo a parte per spiegare chi può beneficiarne e chi no). Per capirci, dunque, NON tutti gli immigrati che toccano il suolo italiano ne hanno diritto, ma solo coloro che sono richiedenti asilo politico o rifugiati.
Gli immigrati appena sbarcati, dopo l’identificazione, vengono mandati in Centri di prima accoglienza dove non hanno diritto al pocket money, ma solo ai pasti giornalieri e al vestiario (ecco anche qui non pensate alle grandi firme). Arriviamo a questi 35 euro predisposti dal Ministero dell’Interno e dell’Economia per chi entra a far parte di un progetto Sprar.
Iniziamo da quanto spetta a un immigrato. “Il pocket money giornaliero può variare da 1.50 a 2.50 centesimi di euro (fino a un massimo di 7,50 euro per nucleo familiare) che servono per le piccole spese quotidiane, una cifra irrisoria potremmo dire”, spiega un operatore Sprar. Tutto il resto, ovvero i 33,50 o 32,50 euro rimanenti servono per tutta un’altra serie di cose correlate.
Vediamo quali:
1) A pagare gli stipendi degli operatori specializzati che lavorano all’interno dei progetti Sprar, ovvero italiani (ma non solo) che di fatto, hanno un’ occupazione grazie ai richiedenti asilo o rifugiati e che altrimenti, soprattutto nelle regioni del Sud Italia, probabilmente sarebbero disoccupati nonostante laurea e master in tasca;
2) A pagare i contratti abitativi di case che gli italiani affittano a richiedenti asilo o rifugiati, quindi anche qui i soldi inviati dal ministero finiscono per circolare nelle tasche degli italiani;
3) A pagare alimenti, vestiario, bollette e via dicendo provenienti da negozi, supermercati e così via, che si trovano sul territorio italiano;
4) A pagare corsi di alfabetizzazione, scolarizzazione, formazione professionale che aiutano i richiedenti asilo o rifugiati ad integrarsi nel territorio e sono tenuti da enti certificati dello Stato italiano;
5) A pagare l’assistenza sanitaria, l’attivazione di borse lavoro e tirocini formativi. Si perché i beneficiari dei progetti Sprar non stanno a bivaccare ai semafori, ma lavorano grazie ai voucher come lavapiatti, addetti alle pulizie, magazzinieri etc, regolarmente registrati e a costo zero per le aziende;
A questo elenco si potrebbero aggiungere tante altre spese, che non sono differenti da tutte quelle che un italiano deve sostenere. Solo che i soldi dei richiedenti asilo o rifugiati, in ogni caso, vengono messi in circolo nel territorio ospitante e contribuiscono al sostentamento della città, regione o Stato.
C’è da dire poi che i 35 euro non sono comunque soldi sottratti agli italiani, perché provengono dal Fondo europeo per i Rifugiati e non possono essere destinati a nessun altro tipo di attività.
E’ vero che i fondi della Comunità europea sono versati da ogni Stato membro, ma è anche vero che attraverso servizi, bandi di gara, etc ritornano al paese d’origine, circolando nuovamente sul territorio.
Basti pensare all’esempio di un piccolo paese del profondo sud dove la presenza di 15 richiedenti asilo, per sei mesi, ha contribuito a sostenere l’economia dei piccoli commercianti che hanno fornito pane, bombole del gas, generi alimentari etc, nonché a dare un’occupazione a tre giovani del luogo.
In sintesi, quindi, quei 35 euro non dovrebbero essere salutati come un “a loro si e a noi no” perché alla fine delle danze, chi ci guadagna di più in tutta questa storia sono proprio gli italiani.
Dominella Trunfio