Eccomi tornata da un viaggio molto intenso e un po’ impegnativo a livello psico-fisico ma che al tempo stesso mi ha regalato tanta nuova energia, fatto scoprire una cultura affascinante e dato molti spunti su cui riflettere. In fondo viaggiare serve proprio a questo…
Vi voglio raccontare quella che probabilmente è stata l’esperienza più intensa delle mie 3 settimane in Thailandia, due giorni di trekking nella parte nord del paese, nella zona di Mae Sariang (Chiang Mai). Io e il mio compagno cercavamo qualcosa che ci facesse vivere il più possibile un’esperienza “reale”: vedere la giungla dal suo interno, passare tra i villaggi delle popolazioni che abitano quelle zone e avere l’occasione di conoscerle più da vicino per scoprire almeno un po’ delle loro tradizioni. Già su internet e poi a Bangkok e a Chiang Mai avevamo trovato tante proposte di trekking tutte uguali: passeggiatina nella giungla, poi a bordo di elefante, poi bamboo rafting, il tutto spacciato come qualcosa di non turistico.
Non ci siamo fatti ingannare, chi ha partecipato a queste escursioni c’ha raccontato che ci sono tantissimi gruppi che fanno le stesse identiche cose, per cui si sta sul fiume con i bamboo e quasi ci si scontra con le altre persone, idem per il giro sugli elefanti che noi preferiamo lasciare liberi di fare la loro vita nella giungla. Dopo tanto cercare abbiamo trovato una compagnia che proponeva un “eco-trekking“, che non scomodava elefanti né bamboo e la cui filosofia era questa: “leave nothing but footprints take nothing but pictures kill nothing but time“.
E così… via… partiamo insieme alla nostra guida locale Ropu, un “ragazzo” di 38 anni di etnia Karen che parla bene inglese e che, nonostante non sia mai uscito dalla Thailandia, possiede la ricchezza di una grande cultura e di tradizioni antiche, che ama la sua giungla e il cibo thailandese arricchito con erbe prese qua e là nella foresta.
Iniziamo a camminare tra risaie di montagna e campi coltivati a mais, cavoli o zucche, si tratta di zone agricole gestite dagli abitanti della zona che vivono lontani e che ogni giorno si fanno diversi chilometri per raggiungere il loro pezzo di terra. Finalmente poi entriamo nella giungla e siamo circondati da uno spettacolo bellissimo, banani e jack fruit, liane, alberi e piante di ogni genere, dalle forme più strane e tanti tantissimi insetti… camminiamo per circa 3 ore, fa molto caldo e soprattutto c’è molta umidità ma Ropu sembra non sentire nulla di tutto questo, cammina con uno zainetto piccolissimo, credo non abbia neppure l’acqua mentre noi, insieme ad un gruppo di 4 ragazzoni olandesi, i nostri compagni d’avventura, praticamente stiamo sempre con l’acqua in mano.
Ci fermiamo per pranzo, e altro che i nostri paninazzi, Ropu è organizzato benissimo e tira fuori dal suo zainetto delle foglie di banano tutte ripiegate e legate con dei nastrini. All’interno riso con verdure e tofu per me e per gli altri anche un po’ di pollo, ci prepara al volo delle bacchette con del bamboo che aveva raccolto durante il percorso e per finire gustiamo qualche mangostano. Un altro po’ di camminata “into the jungle” e finalmente eccoci arrivati al villaggio Karen che ci ospiterà per la notte.
I Karen sono una popolazione dalla storia molto travagliata, Ropu ci spiega che ci sono diversi gruppi che provengono dalla Birmania o dalla Mongolia e che sono fuggiti dalle loro terre a causa della repressione effettuata nei loro confronti dal governo birmano (Myanmar). Si tratta di un popolo che attualmente, secondo le ultime stime, sembra contare oltre 4 milioni di persone, quasi tutte residenti in Birmania e solo poche centinaia di migliaia in Thailandia.
Il villaggio è per noi occidentali qualcosa di surreale ma estremamente affascinante. Abitazioni ricavate in bamboo come palafitte ma senza il fiume sotto, mucche, polli e maiali che scorrazzano in ogni dove e tanti tanti bambini sorridenti e festosi che giocano. Quello che ci ha colpito della Thailandia, conosciuta e sponsorizzata non a caso come la terra del sorriso, sono proprio i bambini. In 3 settimane sarà capitato forse una volta di averne visto qualcuno piangere: non hanno molte cose, non sono viziati ma sembrano essere molto più “ricchi”, felici e tranquilli dei bimbi delle nostre parti.
Ma torniamo al villaggio, le case sono semplici e spartane e generalmente sono composte di 3 “stanze” una comune dove si sta insieme, una per dormire (la famiglia dorme tutta insieme) e una per cucinare. Come in tutta la Thailandia, si entra solo a piedi scalzi. Si dorme per terra con una stuoia, un cuscino e una coperta. Così fanno loro, così facciamo noi. Il bagno è ricavato in una baracchetta fuori, c’è un pentolino d’acqua da versare dopo aver fatto i propri bisogni, non vi dico la condizione igienica del tutto ma la potete immaginare… Uno dei ragazzi olandesi che vede dirigermi verso il bagno mi sussurra “good luck”, mi faccio una sonora risata e penso “sono stata una scout sono pronta a questo e ad altro…e poi alle brutte c’è sempre la giungla!”.
Un pannello fotovoltaico gli permette di avere un pochino di luce la sera, ma solo nella stanza comune… si va a dormire quando fa buio, ci si sveglia all’alba per andare nei campi. Per pulire l’abitazione solo una scopa fatta di rami, niente armadi, qualche stampella con i vestiti appesa qua e là, il resto viene ammucchiato nell’angolo.
Quando siamo arrivati c’era una ragazza forse sordomuta che intrecciava dei fiori viola e bianchi insieme a delle bambine e una signora anziana vestita con gli abiti tradizionali delle popolazioni Karen e con pochi denti tutti neri a causa di una pianta che è solita masticare. Le bambine mi sono corse incontro per regalarmi una ghirlanda da mettere sui capelli, ero così stanca ed emozionata che mi è scesa una lacrimuccia! Poi mi sono messa insieme a loro per provare ad intrecciare anch’io dei fiori, comunicavamo solo a gesti e a sorrisi ma tanto è bastato per capire che la signora anziana vantava ben 7 figli e chissà quanti nipoti! Le donne Karen non vanno in ospedale per partorire, come per tutte le altre cose è sufficiente la loro capanna ed è con un semplice ma affilatissimo coltello fatto di bamboo che tagliano il cordone ombelicale che le lega ai propri figli…
La sera Ropu ci racconta qualcosa in più sul villaggio e ci svela che siamo ospiti nella casa dello sciamano. Ogni villaggio ne ha uno che è il custode di arti e tradizioni che si tramandano di padre in figlio anche se attualmente tutto questo si sta perdendo. Alcune famiglie del villaggio non hanno reddito e vivono davvero con poco raccogliendo frutta (sono pieni di ananas, jack fruit e altre meraviglie tropicali) e coltivando vegetali. “Credono nella foresta, negli animali” ci spiega Ropu… ovvero sono animisti! E come biasimarli… sono circondati da qualcosa di incredibile, chi crede non può non sentire la presenza di Dio in tutto quel verde, nei bambini sorridenti e in tanta semplicità di vita…
La notte trascorre tranquillamente, dormiamo stesi sul bamboo nel silenzio del villaggio circondati dalla giungla e ricoperti da un’enorme zanzariera. Il giorno dopo la colazione è in stile thai, un brodino di riso e verdure ma c’è anche del caffè che sorseggiamo con calma nelle tazze di bamboo che ci hanno donato le mani tuttofare di Ropu e ci sono anche i bamboo-cucchiaini! Raccattiamo infine le nostre poche cose ringraziamo la famiglia per l’ospitalità e la condivisione del cibo pronunciando “table” o qualcosa di simile in lingua Karen e via si riparte.
Rientriamo nella foresta, guadiamo più volte il fiume fino a che arriviamo all’interno di una caverna bellissima. Ci ha seguito un ragazzo del villaggio in ciabatte che si muove come se stesse su una strada asfaltata in pianura… noi invece, tra piante, massi e terra siamo altamente instabili! Insieme a Ropu prepara delle torcie di bambu per illuminarci la strada all’interno della grotta, uno spettacolo della natura che qui si manifesta nella sua grandezza e semplicità! I ragazzi poi fanno un bagno veloce e si riparte di nuovo… dopo altre 2 ore di cammino rivediamo i campi di riso, peperoncino e verdure, capiamo che stiamo per riavvicinarsi ad un altro villaggio. Nel frattempo però inizia a piovere prima piano e poi sempre più forte, gli scherzetti del clima tropicale creano un gran finale per questi 2 giorni di avventura… arrivati al villaggio ci attende la jeep scoperta che ci deve portare all’appuntamento con il furgoncino che riporterà a Chiang Mai. Mai preso tanta acqua e vento addosso in soli 20-30 minuti di percorrenza.
Bye bye Jungle!
Francesca
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Ecco altre foto…