Irrigare il deserto si può, prendendo l’acqua dalla nebbia. Un team dell’Università di Firenze ha sperimentato con successo nel deserto di Atacama, in Sud America, la tecnica del water harvesting, con la quale si “distilla” l’acqua dalla nebbia
Irrigare il deserto e rinverdirlo si può, prendendo l’acqua dalla nebbia. Un team dell’Università di Firenze ha sperimentato con successo nel deserto di Atacama, in Sud America, la tecnica del water harvesting, con la quale si “distilla” l’acqua dalla nebbia. E ha fatto rinascere pezzi di foresta.
I ricercatori dell’Università di Firenze, e in particolare del Dipartimento dei Sistemi agricoli, alimentari e forestali (Gesaaf) ci hanno lavorato per 23 anni e ottenuto ora un incredibile successo: il water harvesting funziona e dalle foschie si ottiene veramente acqua, un bene preziosissimo per tutti, ma soprattutto per le zone aride e semi-aride, nonché in quelle fragili. Anche e, soprattutto, in termini di riforestazione.
Con l’hashtag #fogcollection (raccolta di nebbia), la squadra ha annunciato il successo sulla pagina Facebook del laboratorio dedicato.
Ma come funziona veramente la tecnica? Con il nome di water harvesting si intende in realtà una serie di tecniche di concentrazione di acqua piovana e successivo immagazzinamento per utilizzo successivo, che “approfittano” delle pochissime piogge che si verificano nelle zone aride.
Nel caso specifico si usano delle “ragnatele” che catturano le goccioline d’acqua sospese nella nebbia che arriva dal mare, raccolte poi in un serbatoio grazie a delle canaline. “In media siamo riusciti a ricavare 12 litri di acqua al giorno con un sistema di reti alte 4 metri e larghe 12 per un’area di cattura complessiva di 960 metri quadrati – ha detto a ‘La Repubblica’ Fabio Salbitano, membro del team – L’acqua, in un primo momento, è stata destinata a un progetto di riforestazione della regione e, a 23 anni dalla semina, oggi il 65% di queste piante sono ancora vive e crescono“.
Il gruppo di ricerca, formato dai dottorandi Beatrice Laurita, Kamar Khazal e dallo stesso Fabio Salbitano aveva già lavorato in Etiopia, Kenya, Brasile e Guatemala, in alcune occasioni già con siti pilota, per la ricerca dei siti ottimali per la raccolta dell’acqua, cercando sempre di coinvolgere le comunità locali.
“Il Water Harvesting Lab nasce per sviluppare la ricerca nel campo della realizzazione di Water Harvesting – si legge sul sito ufficiale del team – la gestione dell’acqua piovana attraverso le applicazioni GIS e la Cooperazione Internazionale, in particolare nelle aree aride e semi-aride e nelle regioni fragili”.
Le zone aride e fragili del pianeta sono tante, e in aumento. Così come, purtroppo, un’opera di indiscriminata deforestazione compiuta dall’uomo. Successi come questi ridanno speranza. E vita.
Il lavoro è stato pubblicato su Science of Total Environment e presentato all’ultima Assemblea dell’EGU – European Geoscience Union lo scorso 8 aprile.
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Roberta De Carolis
Cover: Science of Total Environment