Le azioni legali contro Monsanto da parte di chi ha contratto un cancro o dei familiari delle persone uccise da questo male potranno prendere una nuova piega. Dagli Stati Uniti, arriva una decisione storica da parte di un giudice federale "eroe", che di fatto ha aperto la strada a centinaia di azioni legali contro il glifosato. Forte come la verità, come quella che fu svelata negli anni '90 dalla mitica Erin Brockovich!
Le azioni legali contro Monsanto da parte di chi ha contratto un cancro o dei familiari delle persone uccise da questo male potranno prendere una nuova piega. Dagli Stati Uniti, arriva una decisione storica da parte di un giudice federale “eroe”, che di fatto ha aperto la strada a centinaia di azioni legali contro il glifosato. Forte come la verità, come quella che fu svelata negli anni ’90 dalla mitica Erin Brockovich!
Secondo il giudice, infatti, vi sarebbero le prove sufficienti affinché la giuria prenda in considerazione i casi che accusano il glifosato di aver favorito la comparsa del cancro.
La decisione del giudice distrettuale degli Stati Uniti Vince Chhabria, a San Francisco, arriva dopo anni e anni di contenziosi e settimane di udienze sulle controverse informazioni riguardanti il glifosato, l’ingrediente chiave dell’erbicida venduto da Monsanto.
Il processo in questione è quello di DeWayne Johnson (soprannominato Lee) contro Monsanto. Il suo avvocato Wisner ha accusato il colosso americano di aver negato i rischi del glifosato:
“Monsanto ha fatto di tutto per fare il prepotente … e per combattere i ricercatori indipendenti”, ha detto l’avvocato Brent Wisner, che ha presentato e-mail interne di Monsanto che ha mostravano come la società agrochimica avesse respinto le ricerche critiche e gli avvertimenti degli esperti nel corso degli anni. “Hanno combattuto la scienza”.
A marzo, Monsanto aveva dichiarato al giudice Chhabria che nessuno degli esperti dei querelanti soddisfaceva i requisiti scientifici o legali di ammissibilità e ha esortato il giudice a respingere i casi. Nelle sue osservazioni iniziali, l’avvocato della Monsanto George Lombardi ha affermato che il corpo di ricerca nel corso degli anni era dalla parte della società:
“L’evidenza scientifica è schiacciante,i prodotti a base di glifosato non causano il cancro e non causano il cancro del signor Johnson” ha replicato.
Ma qui sta la novità. Per la prima volta, il giudice Vince Chhabria ha permesso agli avvocati di Johnson di presentare argomenti scientifici. Il giudice di fatto ha eliminato un grosso ostacolo stabilendo che le vittime del cancro e le loro famiglie potranno rendere la loro testimonianza per collegare l’erbicida al linfoma non Hodgkin.
Per il giudice Chhabria, una giuria ragionevole potrebbe analizzare la vicenda basandosi sui risultati di quattro esperti, secondo i quali il glifosato può causare il cancro negli esseri umani. I querelanti dovranno poi dimostrare che Roundup abbia causato il cancro in persone specifiche i cui casi saranno selezionati, una fase che Chhabria ha definito una “sfida scoraggiante”.
Lo scorso settembre l’US Environmental Protection Agency ha concluso che il glifosato non è cancerogeno per l’uomo. Ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2015 lo ha classificato i come “probabilmente cancerogeno per l’uomo“.
Sono oltre 400 le cause legali di agricoltori, paesaggisti e consumatori che accusano Roundup di aver provocato in loro il Linfoma non Hodgkin.
La Monsanto, dal canto suo, ha sempre negato le accuse e in una dichiarazione ha affermato che continuerà a difendere le cause con prove che dimostrano che “non vi è assolutamente alcuna connessione tra glifosato e cancro”. La società ha affermato che la sua posizione è supportata da oltre 800 studi scientifici e recensioni.
Aimee Wagstaff, uno degli avvocati che rappresentano le persone che hanno fatto causa alla società, ha detto Wagstaff di essere soddisfatta della decisione del giudice di dare spazio ai loro casi in tribunale:
“È tempo di ritenere la Monsanto responsabile per aver messo sul mercato questo prodotto pericoloso”.
Restiamo in attesa della sentenza.
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Francesca Mancuso