Non tutta la fotosintesi clorofilliana usa la luce rossa per funzionare. Un team dell’Imperial College di Londra, in collaborazione con l’Anu di Canberra, il Cnrs di Parigi-Saclay e il Cnr di Milano ha scoperto un muovo meccanismo, che riscriverà i testi scientifici
Non tutta la fotosintesi clorofilliana usa la luce rossa per funzionare. Un team dell’Imperial College di Londra, in collaborazione con l’Anu di Canberra, il Cnrs di Parigi-Saclay e il Cnr di Milano ha scoperto un muovo meccanismo, che riscriverà i testi scientifici.
La fotosintesi clorofilliana è uno dei processi biochimici fondamentali per la vita sulla Terra. Le piante, grazie ai raggi solari, sono infatti in grado di convertire anidride carbonica e acqua in sostanze organiche per il loro nutrimento e ossigeno che serve a noi e a tutti gli animali per respirare.
Fino ad oggi era noto che le frequenze utili a questo processo erano quelle del rosso visibile e questo perché il pigmento utilizzato dai vegetali per la reazione è la clorofilla di colore verde (che è infatti è il colore delle foglie dove avviene la reazione).
Ma di clorofille, in realtà, ne esistono diverse. Il tipo standard e quasi universale di fotosintesi utilizza la clorofilla-a, che per la sua struttura può non sfruttare energie inferiori a quelle fornite dalla luce rossa.
Poiché la clorofilla-a è presente in tutte le piante, alghe e cianobatteri di cui siamo a conoscenza, si è ritenuto fino ad ora che l’energia della luce rossa stabilisse il “limite rosso” per la fotosintesi. L’energia associata alla luce è direttamente proporzionale alla frequenza emessa (nel visibile al suo “colore”) e si è sempre pensato che il rosso fosse la frequenza, e quindi l’energia, minima ad innescare il vitale processo.
Ma si sa che nella scienza non si finisce mai di imparare. I ricercatori hanno infatti scoperto che quando alcuni cianobatteri (alghe azzurre o blu-verdi) vengono coltivate sotto la luce del vicino infrarosso (frequenza leggermente inferiore a quella del rosso), i sistemi standard contenenti clorofilla-a si bloccano ma ne subentrano altri contenenti un diverso tipo di clorofilla, la clorofilla-f.
E non è solo una curiosità. Fino ad ora, infatti, si pensava che la fotosintesi potesse avvenire solo sotto la diretta luce del sole. La nuova ricerca mostra invece che non è così sempre: la clorofilla-f svolge infatti un ruolo chiave nella fotosintesi in condizioni di ombra, utilizzando la luce infrarossa a energia inferiore, innescandola “oltre il limite rosso”.
“La nuova forma di fotosintesi ci ha fatto ripensare a ciò che ritenevamo possibile – afferma Bill Rutherford, che ha guidato la ricerca – Cambia anche il modo in cui comprendiamo gli eventi chiave al centro della fotosintesi standard. Questa è una roba da manuale”.
In realtà, precisano gli autori, era già noto un altro cianobatterio, l’Acaryochloris, noto per mettere in moto la fotosintesi oltre il limite rosso. Tuttavia, poiché ciò si verifica solo in questa specie, con un habitat molto specifico, era stato considerato un caso isolato, con poco impatto generale.
Quello di cui si parla in questa ricerca è invece un terzo tipo di fotosintesi ampiamente diffusa, che sembra essere usata come “meccanismo difensivo”. Infatti si innesca solo in speciali condizioni ombreggiate a infrarossi. In condizioni di luce normale viene utilizzata la forma standard rossa di fotosintesi.
Meravigliosa natura.
Il lavoro è stato pubblicato su Science.
Leggi anche:
- La foglia artificiale che produce ossigeno: fatta di seta e clorofilla
- Moss Table, il tavolo che produce energia grazie alla fotosintesi delle piante (biofotovoltaico)
Roberta De Carolis