Philip Roth: storia, libri e frasi dello scrittore senza Nobel

Chi era Philip Roth, lo scrittore irriverente che non ha mai vinto il Nobel.

Un grande romanziere americano e scrittore di racconti brevi, Philip Roth, conosciuto per le sue provocatorie esplorazioni dell’identità ebraica e americana, ci lascia senza mai aver ricevuto un premio Nobel.

Chi era Philip Roth?

Ormai tranquillo pensionato dell’Upper West Side (la casa nel Connecticut, dove era solito appartarsi in solitudine per i suoi lunghi periodi di scrittura), come l’ha definito il New York, Philip Roth ha avuto una vita prolifica e intensa, assumendo di volta in volta numerose sembianze – principalmente versioni di se stesso – nell’esplorazione di cosa significhi essere un americano, un ebreo, uno scrittore, un uomo.

Appassionato studioso di storia americana e seguace del vernacolo americano era, più di ogni altro scrittore del suo tempo, assolutamente instancabile nella ricerca della sessualità maschile, tanto che le sue creazioni includono un Alexander Portnoy, un adolescente libidinoso erotomane complessato, e un David Kepesh, un professore che si trasforma in un seno femminile di 80 chili.

E non solo. A differenza di Pessoa e dei suoi eteronimi, Philip Roth era praticamente un campione di una serie di alter ego: nel suo estremo autobiografismo e in oltre venti romanzi, si è incarnato di volta in volta in Philip Roth stesso, in Alexander Portnoy, in Nathan Zuckerman, in Nathan Tarnopol.

Philip Roth, biografia

Nipote di immigrati ebrei dall’Europa orientale, nato il 19 marzo 1933 a Newark, nel New Jersey, Philip Roth è conosciuto soprattutto per le sue provocatorie esplorazioni nelle viscere dell’identità ebraica e americana, spesso incentrate sull’amore familiare e sul sesso.

La sua era una famiglia della piccola borghesia ebraica e di essa ha sviscerato abitudini e false credenze in un viaggio profondo a volte reso più “leggero” da un registro comico, che nella produzione di Roth diventerà poi anche la chiave letteraria. Fino ai temi più difficili come il desiderio e le ipocrisie.

Philip Roth comincia la sua carriera letteraria al college. Dopo aver frequentato per breve tempo la Rutgers University, va alla Bucknell University, dove inizia a collaborare con la rivista Et Cetera, sulla quale pubblica alcuni dei suoi primi racconti.

Dopo essersi laureato nel 1954, Roth si arruola nell’esercito degli Stati Uniti e anche sotto le armi continua a scrivere. In seguito, frequenta l’Università di Chicago, dove consegue un master in letteratura inglese. È in quegli anni che, già dimostrando di essere uno scrittore controverso, fa arrabbiare un certo numero di lettori ebrei con la storia “Defender of the Faith”, pubblicata su The New Yorker nel 1957.

“All’improvviso fui assalito come un antisemita. Una cosa che avevo detestato per tutta la vita era un ebreo che odiava la sua stessa razza”, spiegherà in seguito al New York Times.

I principali lavori letterari

Philip esordì nel 1959 con “Addio Columbus” divenendo una delle stelle nascenti della narrativa americana e vincendo il National Book Award, ma il primo vero grande successo arriva dieci anni dopo con “Il lamento di Portnoy”.

“Bizzarro, esagerato, viscerale, profano e selvaggiamente divertente” (New York Times), fu proprio con Portnoy’s Complaint che Philip sfondò i muri delle ipocrisie facendo “scandalo” con quel tale Alex Portnoy che “vive nel mezzo di uno scherzo ebraico”.

Pagine con cui Roth riuscì a competere con quel falso pudore del tempo affrontando il tema del piacere, tra l’altro facendo uso di un registro tragicomico che consegnerà la figura di Portnoy all’Olimpo della creazione letteraria novecentesca.

Portnoy era sincero riguardo al sesso”, dirà più tardi Roth alla rivista People. E sappiate solo che la “denuncia” di Portnoy divenne un enorme successo commerciale.

Alla fine degli anni ’70, Roth inizia a scrivere opere che mettevano al centro il suo alter ego letterario, lo scrittore Nathan Zuckerman. Questo personaggio apparve per la prima volta in The Ghost Writer (1979) e ricorre in molte opere come Zuckerman Unbound (1981) e The Anatomy Lesson. Mentre in molti vedono una certa affinità tra Roth e il suo Zuckerman, lo scrittore ha sempre insistito sul fatto che i suoi romanzi non erano autobiografici, affermando duramente che i lettori che vedono la sua vita solo nelle sue opere “sono semplicemente intorpiditi dalla finzione, intorpiditi dall’impersonificazione, dal ventriloquio, dall’ironia, intorpiditi dalle mille osservazioni della vita umana su cui è costruito un libro”.

Con Sabbath’s Theatre nel 1995 Philip vince di nuovo il National Book Award, e tre anni dopo, conquista il premio Pulitzer per la narrativa per American Pastoral (1997). Questo romanzo, parte di una trilogia che include anche I Married a Communist (1998) e The Human Stain (2000), riporta Nathan Zuckerman a raccontare la storia dell’uomo d’affari ebraico Seymour “Swede” Levov (“lo Svedese”)

È con questo romanzo che Roth introduce uno dei personaggi più tragici e dolorosi della letteratura statunitense del ‘900, in una storia di ascesa e caduta di un esempio borghese della rinascita a stelle e strisce del periodo del dopoguerra.

Nel 2009 annuncia la fine della sua carriera da romanziere: fino ad allora aveva pubblicato oltre 30 libri, tradotti in molte lingue. Nel 2012, annuncia di aver rinunciato alla scrittura e spiega che “Nemesis”, pubblicato nel 2010, è stato il suo ultimo romanzo.

“Non ho più l’energia per sopportare la frustrazione. Scrivere è una frustrazione quotidiana, e non parlo dell’umiliazione”, spiegherà al New York Times.

Philip è stato costantemente nella lista dei candidati al Nobel per la letteratura, ma l’Accademia gli ha sempre voltato le spalle. Dissacrante, scorretto e irriverente, corrosivo e esuberante. Eppure, Philip Roth è stato uno degli autori più letti del ventesimo secolo.

Philip Roth, frasi celebri

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