Autostima: una parola e, dentro, un mondo interiore che si rivela nella capacità o meno di sentirsi adeguati alla vita, alle sue richieste; nel sapere di meritare la felicità, di avere un valore per sé e per gli altri.
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Autostima: una parola e, dentro, un mondo interiore che si rivela nella capacità o meno di sentirsi adeguati alla vita, alle sue richieste; nel sapere di meritare la felicità, di avere un valore per sé e per gli altri.
C’è chi ha una buona autostima; c’è che ce l’ha ipertrofica, smisurata e chi, al contrario, ne ha poca, pochissima. La cosa interessante è che tutti, proprio tutti, possono lavorarci su.
Ecco 7 consigli e avvertenze, da cui partire, che si possono apprendere in un percorso di lavoro personale.
L’autostima è un fiore con tanti petali
La nostra autostima complessiva è data dall’interazione di aspetti diversi: fiducia in se stessi (cioè credere nelle proprie capacità di agire); sentirsi soddisfatti di sé (e quindi del proprio agire); sicurezza di sé (capacità di esprimere se stessi e anche saper prendere decisioni, equilibrate e non avventate, e poi “camminarle”, mantenerle nel tempo). Queste parti sono influenzate, a loro volta, dall’amore per se stessi (come disposizione benevola, accogliente); dalla reale conoscenza di sé (che è la base indispensabile per ogni processo di “valutazione”) nonché dal sapersi accettare (nei propri punti di forza ed eventuali, inevitabili, aspetti di debolezza su cui è necessario lavorare).
Queste parti possono diventare una mappa di approfondimento per orientare il proprio lavoro personale in modo mirato.
Un processo a cascata
In estrema sintesi, una buona stima di sé è basata quindi sull’amore di sé (che significa anche sentirsi degni di amore e rispetto a prescindere dai propri limiti); dalla rappresentazione che si ha di se stessi (capace, non capace) e dalla fiducia in sé (che si basa molto sull’esperienza e si nutre delle azioni compiute e portate a termine con successo).
Queste 3 componenti sono tra di loro interdipendenti: chi sa rispettare se stesso qualunque cosa accada, potrà avere anche una visione positiva di sé e questo influenza la fiducia, che permette di muoversi nella vita con la giusta dose di attenzione, senza particolare timore degli insuccessi o del giudizio degli altri.
Lo stile di attaccamento nei primi mesi di vita
Secondo il modello biopsicosociale, l’autostima è influenzata dal temperamento, dalla personalità e dalle relazioni affettive e sociali, prime tra tutte quelle con le cosiddette “figure primarie”: normalmente i genitori e, in particolar modo, nel primo anno di vita, la madre (o, più in generale, la principale figura affettiva di riferimento).
Lo stile di attaccamento che caratterizza la relazione madre-figlio determinerà infatti – nel bambino – l’immagine, la prima rappresentazione che ha di sé come persona degna di amore, che può avere fiducia (oppure no) negli altri e nel riconoscimento e soddisfacimento dei propri bisogni. Una bassa autostima in genere ha origine da precoci esperienze di rifiuto, trascuratezza, carenza affettiva che, se non estemporanee ma ripetute nel tempo, definiscono un attaccamento insicuro, evitante quando – nei casi peggiori – non disorganizzato. I bambini contraddistinti da un buon attaccamento, sicuro, presentano invece un buon livello di autostima, serenità e fiducia anche nelle relazioni con gli altri.
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L’autostima si rinforza durante l’infanzia
Che ce lo diciamo a fare? Vero, si sa ma è sempre bene ricordarlo: l’autostima dipende non solo dall’amore dei genitori ma anche dalle aspirazioni, dai progetti che avevano su di noi, dagli stimoli che ci hanno fornito e dal loro supporto soprattutto emotivo, talvolta anche pratico.
Genitori con aspettative troppo alte (è bravissimo, può fare questo o quello e anche di più) o troppo basse (non ce la farà), oppure che non riconoscono e onorano i risultati raggiunti, che non accompagnano l’apprendimento, che non sostengono nell’impegno e nella preparazione, che non incoraggiano ad imparare dagli errori e dalle “sconfitte” (o addirittura puniscono, sviliscono, deridono), che sottolineano il valore della “vittoria” e non della “partecipazione” pongono le basi per una mancanza di stima in se stessi.
Lo stile di attribuzione influenza l’autostima
A chi diamo la responsabilità dei nostri risultati, se crediamo (oppure no) di poter raggiungere l’obiettivo desiderato o saper affrontare un insuccesso rientra in quello che viene chiamato “locus of control” o “stile di attribuzione”. Se è esterno, tutti i successi e gli insuccessi dipendono da fattori esterni (la prova era facile, sono stato fortunato o, al contrario, era troppo difficile, gli altri ce l’hanno con me, sono stato sfortunato); quando è interno, invece ci si attribuisce la responsabilità dell’esito (ad esempio: ce l’ho fatta perché mi sono impegnato; non sono riuscito perché sono incapace oppure non mi sono preparato a sufficienza).
Con un buon senso di autostima, l’attribuzione a sé di un successo aumenta la stima di sé; l’attribuzione di un insuccesso può portare in due direzioni: verso la disistima (se l’autostima è vacillante) oppure verso una costruttiva rimodulazione e riformulazione dell’impegno e degli obiettivi. L’ideale è un giusto mix di locus of control interno ed esterno. Come prima cosa è importante osservare la differenza: una certa situazione dipende davvero da me oppure dagli altri? Obiettivamente, si tratta di qualcosa in cui io posso intervenire, che rientra nel mio raggio/possibilità di azione e scelta oppure dipende dagli altri e in che misura? Se rientra nella mia “area di controllo”, cosa posso fare in linea generale e, concretamente, definendo obiettivi, sotto-obiettivi, impegni e strategie?
Un circolo vizioso o virtuoso
Alta o bassa, l’autostima tende a riprodursi nella direzione a lei nota. Se è bassa, tende a indurre un circolo vizioso che porta ad una sorta di “impotenza appresa”: credenze ed aspettative negative produrranno pensieri, comportamenti, emozioni che favoriranno il cattivo “esito”; il ripetersi della situazione di insuccesso influenzerà negativamente la motivazione, l’impegno, ponendo altre basi per “mancate riuscite”. Tanto più se queste verranno valutate negativamente, derise. Questo consolida la credenza di non valere, di non essere capace, di non potere riuscire o l’idea che la responsabilità non sia propria ma degli altri.
Al contrario il successo, l’esperienza di efficacia personale, la capacità di far tesoro degli errori e imparare dalle “mancate riuscite”, il riconoscimento sociale nutrono un buon livello di autostima che – in un circolo virtuoso – indurrà maggiore motivazione e impegno nell’affrontare sfide successive, con la convinzione di poterle vincere o comunque trarne vantaggio ed esperienza.
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Riconoscere, onorare e valorizzare quel che si è
“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”, che significa autostima prossima a livelli sottozero. Se così affermò Einstein, che di genialità forse qualcosa ne capiva, c’è da crederci. Una delle ragioni per cui spesso l’autostima tentenna è infatti proprio per l’errato confronto di sè con i modelli culturali e di rendimento imperanti: se il mondo ti chiede di essere un leopardo e tu sei un pesce (e non lo sai), è (forse) quasi normale sentirsi inadeguati. L’alternativa è ri-scoprirsi: ritrovare i propri obiettivi originari, quelli che muovono il cuore e le emozioni più profonde; individuare le proprie capacità e farne dei punti di forza, accogliere le proprie caratteristiche meno forti e farne occasione di sviluppo e crescita. Uscire dalla massa omologata di desideri, aspirazioni, prospettive di vita e di carriera per ritrovare quello che è davvero importante.
Secondo Rollo May, l’autostima si sviluppa quando la persona è disposta a riconoscere il proprio “esser-ci”, rispondendo con congruenza al Sé e rimanendo se stessa. L’autostima sorge spontanea e torna forte quando siamo autentici, in contatto con la nostra anima e il nostro spirito, quando abbiamo il coraggio di esprimere la nostra autenticità e individualità (resistendo alle sollecitazioni del mondo che vorrebbe appiattirci, uniformarci, reprimere la nostra bellezza unica): quando accettiamo di essere il seme unico e irripetibile che siamo. Quel fiore che ha il suo irriproducibile profumo. Quel pesce con i suoi colori e movimento. Che quindi scelgono il terreno e l’ambiente ideale per manifestarsi.
Quale che sia la base di partenza e lo stato attuale, è bene ricordare che “non si è mai arrivati”; come ricorda Walter Pasini: ”l’autostima è un fiore che va annaffiato ogni giorno”. Da soli o con il supporto di un professionista, l’importante è farlo: non per essere “fighi”, non per “spaccare il mondo” ma per poter “essere”, manifestare pienamente in modo costruttivo, per noi e per tutti, il nostro Sè e i nostri talenti. E così, vivere – anche – più felici e appagati, navigando con più presenza tra le cose quotidiane della vita.
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