I mari italiani sono invasi dalle microplastiche. Non è una novità, ma un nuovo studio condotto dal Cnr, da Greenpeace e dall'Università Politecnica delle Marche ha scoperto che la loro presenza nelle nostre acque marine superficiali è paragonabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti nelle acque di Portici (Napoli) ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti (Foggia)
I mari italiani sono invasi dalle microplastiche. Non è una novità, ma un nuovo studio condotto dal Cnr, da Greenpeace e dall’Università Politecnica delle Marche ha scoperto che la loro presenza nelle nostre acque marine superficiali è paragonabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti nelle acque di Portici (Napoli) ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti (Foggia).
I risultati diffusi dall’Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova (ISMAR), dall’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e da Greenpeace Italia sono il frutto dei campionamenti nelle acque realizzati durante il tour “Meno Plastica più Mediterraneo” della nave di Greenpeace Rainbow Warrior che la scorsa estate ha monitorato le coste.
La campagna ha analizzato campioni di acqua di mare prelevata in 19 stazioni lungo la costa italiana, da Genova ad Ancona, sia in presenza di un forte impatto antropico come nelle foci di fiumi e nei porti che in aree marine protette.
I campionamenti effettuati da ISMAR hanno permesso di conoscere sia la quantità che la composizione delle microplastiche sulla superficie delle acque marine italiane e nello zooplancton.
La produzione della plastica è aumentata a dismisura negli ultimi 50 anni: solo nel 2015 ne sono state prodotte 300 milioni di tonnellate e ogni anno in mare ne finiscono circa 8 milioni.
“I risultati indicano che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento”, spiega Francesca Garaventa, responsabile CNR-Ismar dei campionamenti. “Infatti, nella stazione di Portici (Napoli) zona a forte impatto antropico, si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo ma valori non molto inferiori – 2,2 – si trovano anche alle Isole Tremiti”.
Per dare un’idea, se riempissimo due piscine olimpioniche con l’acqua delle Isole Tremiti e l’acqua di Portici, nella prima troveremmo 5.500 pezzi di plastica, nella seconda 8.900.
Dalle analisi è emersa la presenza di 14 tipi di polimeri, sopratutto polietilene ossia il materiale in cui viene prodotta la maggior parte del packaging e degli imballaggi usa e getta.
A preoccupare i ricercatori non è solo il fatto che le microplastiche presenti nel Mediterrano siano paragonabili a quelli che si trovano nelle zuppe di plastica del Pacifico ma che il Mare Nostrum sia un bacino semi-chiuso, fortemente antropizzato, con un limitato riciclo d’acqua che ne favorisce l’accumulo.
Presenti in molti cosmetici e nei prodotti per l’igiene personale (fonti primarie), le microplastiche sono particolarmente pericolose per la vita marina. Esse derivano anche dalla frammentazione di pezzi più grandi, dispersi nelle acque. In questo caso si parla di fonti secondarie e a preoccupare è anche il fatto che contengono additivi chimici come gli ftalati.
“I dati raccolti confermano che i nostri mari stanno letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica e microplastica, per lo più derivante dall’uso e dalla dispersione di articoli monouso” aggiunge Serena Maso, campagna mare di Greenpeace. “Per invertire questo drammatico trend bisogna intervenire alla fonte, ovvero la produzione. Il riciclo non è la soluzione e sono le aziende responsabili che devono farsi carico del problema, partendo dall’eliminazione della plastica usa e getta.”
Per questo, anche greenMe ha lanciato la campagna social #svestilafrutta con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica ela grande distribuzione a ridurre l’abuso degli imballaggi in plastica.
Partecipare alla campagna è semplice. Ogni qualvolta ti trovi davanti a un prodotto imballato in maniera assurda e senza senso (un mandarino, una banana, una zucchina etc..) scatta una foto e poi caricala sui social Facebook, Twitter, Instagram usando l’hashtag #svestilafrutta, taggando @greenMe_it e inserendo anche il nome del supermercato dove si trova la confezione.
Per approfondire:
#svestilafrutta, greenMe.it dice no all’abuso degli imballaggi. E tu? Partecipa!
Qui tutti i dati dei campionamenti
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Francesca Mancuso