Nel deserto del Sahara, dagli scavi effettuati da un team di archeologi sono emerse le ossa di un nuovo dinosauro, una creatura rara, di grandi dimensioni, appartenente al gruppo dei titanosauri. Si chiama Mansourasaurus shahinae e visse nel Tardo Cretaceo, in un periodo compreso tra 100 e 66milioni di anni fa
Nel deserto del Sahara, dagli scavi effettuati da un team di archeologi sono emerse le ossa di un nuovo dinosauro, una creatura rara, di grandi dimensioni, appartenente al gruppo dei titanosauri. Si chiama Mansourasaurus shahinae e visse nel Tardo Cretaceo, in un periodo compreso tra 100 e 66milioni di anni fa.
Quando si parla dell’estinzione dei dinosauri, l’Africa è una sorta di pagina bianca. I fossili trovati in Africa dal tardo Cretaceo sono pochi e risalenti a epoche molto distanti tra loro. Ciò significa che il corso dell’evoluzione dei dinosauri nel continente è rimasto in gran parte un mistero. Ma nel deserto del Sahara, in Egitto, gli scienziati hanno scoperto una nuova specie di dinosauro che potrebbe velare alcuni misteri e colmare altrettante lacune.
La sua particolarità sta dunque nel fatto che fornisce nuove informazioni sulla vita e sulla fine dell’era dei dinosauri in Africa avvenuta circa 66 milioni di anni fa. Il Mansourasaurus aiuterà gli scienziati a scoprire quali creature popolavano il continente africano all’epoca.
I suoi resti fossilizzati sono stati dissotterrati grazie a una spedizione intrapresa dalla Mansoura University, guidata dal Dr. Hesham Sallam del Dipartimento di Geologia.
Il suo scheletro è importante perché appartiene all’esemplare di dinosauro più completo finora scoperto dalla fine del Cretaceo in Africa, e comprende parti del cranio, la mascella inferiore, il collo e le vertebre posteriori, le costole, gran parte della spalla e della zampa anteriore, parte del piede posteriore.
Il dinosauro si nutriva di piante, era lungo più o meno quanto un elefante africano, circa 10 metri e apparteneva a uno dei gruppi di dinosauri più grandi mai vissuti sulla Terra, non a caso chiamati titanosauri, un gruppo di sauropodi comuni in gran parte del mondo durante il Cretaceo.
“La scoperta e l’estrazione di Mansourasaurus è stata un’esperienza straordinaria per il team. È stato elettrizzante per i miei studenti scoprire osso dopo l’osso, poiché ogni nuovo elemento che abbiamo ecuperato ha aiutato a rivelare chi fosse questo dinosauro gigante” spiega Sallam.
Il paleontologo e coautore dello studio, il dott. Matt Lamanna del Carnegie Museum of Natural History, ha aggiunto:
“Quando ho visto per la prima volta le immagini dei fossili, sono rimasto a bocca aperta. Questo era il Santo Graal, una creatura ben conservata dalla fine dell’Era dei Dinosauri in Africa. Noi paleontologi lo cercavamo da molto, molto tempo”.
I fossili di dinosauro del tardo Cretaceo sono difficili da trovare. Gran parte della terra in cui potrebbero essere nascosti è ricoperta da vegetazione lussureggiante ma anche da roccia come nella regione delle Montagne Rocciose, del Deserto del Gobi o della Patagonia.
La mancanza di fossili del tardo Cretaceo in Africa finora è stata particolarmente frustrante per i paleontologi poiché, a quel tempo, i continenti stavano subendo enormi cambiamenti geologici e geografici. Durante gran parte del periodo Triassico e Giurassico, tutti i continenti erano uniti nel supercontinente Pangea ma nel Cretaceo iniziarono a dividersi e si spostarono fino a dare vita all’attuale configurazione.
Storicamente, non è chiaro quanto e come l’Africa fosse ben collegata agli altre emisferi meridionali e all’Europa in quel periodo. Mansourasaurus, essendo uno dei pochi dinosauri africani noti del periodo, aiuterà a rispondere a questa domanda. Analizzando le caratteristiche delle sue ossa, Sallam e il suo team hanno scoperto che esso è più strettamente imparentato con i dinosauri dell’Europa e dell’Asia che con quelli trovati più a sud, in Africa o in Sud America.
“Gli ultimi dinosauri africani non erano completamente isolati, contrariamente a quanto alcuni hanno proposto in passato. C’erano ancora collegamenti con l’Europa.”
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La ricerca è stata pubblicata su Nature.
Francesca Mancuso