Il suo nome significa ‘piccola montagna’ , le origini sono arabe ma Gibellina è un borgo siciliano in provincia di Trapani, vittima di una catastrofe naturale che l’ha trasformato in un paese fantasma.
Il suo nome significa ‘piccola montagna’ , le origini sono arabe ma Gibellina è un borgo siciliano in provincia di Trapani, vittima di una catastrofe naturale che l’ha trasformato in un paese fantasma.
Quando parliamo di Gibellina facciamo riferimento al vecchio paese abbandonato dopo il terremoto del Belice del 1968, oggi gli abitanti vivono a Gibellina nuova, uno dei tanti luoghi costruiti dal nulla a causa di calamità naturali.
Gebel in arabo significa ‘montagna’ mentre zghir ‘piccola’, è per questo che l’ipotesi più accreditata è che Gibellina significhi proprio piccola montagna. Secondo alcuni storici furono proprio gli arabi a fondarla nell’Alto Medioevo e dopo il terremoto venne fatto qualche tentativo per la ricostruzione.
Tuttavia, per un periodo venne presa in considerazione l’ipotesi di risanare il paese a un paio di chilometri, ma il terreno edificabile era dei Salvo, famiglia mafiosa siciliana. Da lì la scelta di optare per nuove terre a una ventina di chilometri di distanza da quella che oggi viene conosciuta come Gibellina vecchia.
Mentre attualmente del borgo sono rimaste solo alcune macerie, la parte nuova è stata per molto tempo un laboratorio di pianificazione artistica, l’ex sindaco Ludovico Corrao aveva infatti chiamato diversi artisti per dare il giusto lustro alla ricostruzione.
Alberto Burri però non volle inserire una sua opera nel nuovo centro urbano, ma realizzo un ‘grande Cretto’, ovvero un’opera di land art che è stata completata solo nel 2015.
“ Andammo a Gibellina con l’architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento” (Stefano Zorzi, Parola di Burri, Torino, Allemandi, 1995)
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Quello di Burri è dunque un gigantesco monumento della morte che ripercorre le vie e vicoli della vecchia città: esso infatti sorge nello stesso luogo dove una volta vi erano le macerie, attualmente cementificate dall’opera di Burri.
Ecco l’opera:
Dominella Trunfio