‘Vi mostro il mio corpo. Quello che nessuno vuol vedere, un corpo massacrato, dilaniato da chi mi chiamava "Amore"! Io non credo che possa esistere un motivo per giustificare tale ferocia! Nessuna scusa, nessuna giustificazione!’
‘Vi mostro il mio corpo. Quello che nessuno vuol vedere, un corpo massacrato, dilaniato da chi mi chiamava “Amore”! Io non credo che possa esistere un motivo per giustificare tale ferocia! Nessuna scusa, nessuna giustificazione!’
Lidia Vivoli è una delle donne che nella sua vita ha dovuto subire il dolore e l’umiliazione di avere accanto un partner violento che ha tentato di ucciderla e la sua sofferenza, il suo sconforto, lo riversa sulla sua pagina Facebook.
Perché Livia ha denunciato, ma spiega di essere stata abbandonata. Motivo per cui tantissime altre donne non sporgono denuncia contro i propri aguzzini che dicevano di amarle. La notte tra il 24 e il 25 giugno 2012, inizia per lei l’inferno. Ma chi ha tentato di ammazzarla, da un’aula di un Tribunale continua a dire che ‘non voleva ucciderla e che lei è una donnaccia’.
Difficile da credere, visto il racconto della donna documentato ( se mai ce ne fosse bisogno) da fotografie agghiaccianti che mostrano un corpo dilaniato dalle percosse e sangue sparso sul pavimento, sul letto, sui mobili di casa.
Sono immagini crude, che ci colpiscono come una pugnalata nella nostra sfera più intima, ma sono foto che abbiamo deciso di pubblicare (dopo il consenso di Lidia) perché non si può continuare a voltare lo sguardo dall’altro lato.
“Chi mi ha fatto questo, continua a dire che non è vero, che sono una donnaccia, che non voleva uccidermi! In fondo 6 pugnalate, mentre dormivo, dopo avermi colpito con una padella in ghisa, sulla testa, (finché non si è rotto il manico) a cosa servivano? Il tentativo di soffocamento con il filo dell’abat-jour prima e del ventilatore poi, le costole rotte, la gola graffiata a mani nude! L’ultima pugnalata all’addome…”
“Ed ora? Ho denunciato ma sono stata abbandonata! Non merito di ricominciare a vivere? Non merito serenità? No! Tutto deve essere concesso solo a loro, agli assassini! Per loro vi sono premi, sconti di pena, perfino un lavoro! Ma la mia, la nostra pena, non avrà sconti! Io un lavoro lo avevo, lo amavo…. Ora non esiste più…”
“Ora c’è solo lo sconforto di essere stata abbandonata da uno Stato che ci dice di denunciare, di essere forti e poi ci lascia morire, nell’indifferenza più totale! Io parlo a nome di tutte le donne vittima di violenza! Di quelle che hanno paura, di quelle che hanno denunciato, di quelle che non ci sono più, dei loro e dei nostri figli, dei bambini uccisi in nome di una vendetta senza senso”.
Questo il suo lungo post su Fb:
Chiediamo a Lidia perché si sente abbandonata dallo Stato.
“Sono sempre rimasta sola, fin dal giorno dopo l’aggressione. Perché non ci equiparano alle vittime di mafia, di guerra o a i pentiti? Non solo ho denunciato ma sono stata invitata a parlare in Parlamento e in Senato. Ho urlato il mio dolore e il mio terrore in tutte le più importanti trasmissioni Rai. Ho dato le idee per aiutare le donne vittime di violenza… Cosa è cambiato? Nulla!!!!”, spiega Lidia a greenMe.it
Il suo aguzzino è rimasto in carcere cinque mesi, poi un anno di domiciliarli e un anno con obbligo di firma.
“Per fortuna che non eravamo sposati perché c’era pure il rischio che avrebbe dovuto scontare i domiciliari in casa con me. Ma una volta in semilibertà mi ha subito iniziato a contattare, io non sapevo neanche che non fosse più in carcere. La legge non prevede che la vittima venga avvisata”, spiega Lidia a greenMe.it.
Se pensavate di aver sentito abbastanza, non crederete alle vostre orecchie sul come prosegue il racconto della donna:
“Ha continuato a stalkerizzarmi, dicendomi che avrei dovuto mantenerlo economicamente visto che l’avevo mandato in galera senza motivo. Pensa che, per disperazione, stavo per cedere”.
Cosa che non è successa, ma non abbiamo la certezza che non potrà succedere, perché quando ci si sente soli e abbandonati, la disperazione ha il sopravvento. È una storia che si ripete. Non basta essere stata privata della propria libertà, della tranquillità, essere stata segnata per sempre dalla paura. No, non basta. Bisogna ancora lottare contro il proprio aguzzino per una battaglia che dovrebbe essere già vinta in partenza.
Bisogna lottare contro gli stereotipi, i pregiudizi, contro il riaprire delle ferite mentali che fanno più male di quelle fisiche. Succede anche questo e ci si sfoga sui social network, dove la solidarietà non manca, ma dove ci si aspetta che il proprio appello arrivi soprattutto allo Stato.
I dati Istat 2017 non lasciano ben sperare. Tra le donne abusate dai partner, il 90,6% ha subito rapporti sessuali indesiderati; il 79,6% tentativi di strangolamento, soffocamento e ustione; il 77,8% schiaffi, pugni, calci e morsi. Le percosse, in una minoranza dei casi (1,5%), hanno provocato danni permanenti. Tra le mogli e le fidanzate vittime di violenza, il 37,6% ha riportato ferite o lesioni, il 21,8% soffre di dolori ricorrenti.
Sullo stesso argomento:
25 NOVEMBRE: LA STREET ART CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
VIOLENZA SULLE DONNE: MARIA CE L’HA FATTA. USCIRE DALL’INCUBO SI PUÒ
Neppure la gravidanza ferma gli abusi, anzi nel 7,5% dei casi è il motivo che provoca l’ira dell’uomo. Una terribile fotografia della nostra società, quella italiana, dove il 25 novembre eventi e manifestazioni, ricorderanno la Giornata nazionale contro la violenza sulle donne. Una Giornata che non vorremmo mai più nominare.
Dominella Trunfio