Moda tossica: i nostri vestiti sono secondi solo al petrolio quanto a inquinamento

Quanto inquinano i vestiti che indossiamo? Troppo, eppure continuiamo a comprarne sempre di nuovi, alimentando la moda tossica che è seconda solo al petrolio.

Quanto inquinano i vestiti che indossiamo? Troppo, eppure continuiamo a comprarne sempre di nuovi, alimentando la moda tossica che è seconda solo al petrolio.

Più volte abbiamo parlato di come i nostri abiti contribuiscano ad inquinare mari e oceani se sono realizzati con fibre sintetiche della plastica. Le microfibre rappresentano, infatti, uno dei fattori che causano l’inquinamento marino.

Non a caso gli oceani si sono trasformati in isole di plastica che finiscono per uccidere tutto l’ecosistema. I microgranuli, presenti anche nei prodotti per la cura della persona come scrub e dentifrici, così come i frammenti delle fibre sintetiche, risultano troppo piccoli per essere filtrati e trattenuti in modo efficace dai depuratori.

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E oggi, la stragrande maggioranza dei capi d’abbigliamento è fatto di fibre sintetiche che resistono poco, trasformando t shirt e via dicendo, in vestiti usa e getta.

La cosiddetta ‘fast fashion’, ovvero moda veloce genera rifiuti, inquinamento ma anche gas ad effetto serra. Tra saldi fuori stagione e il Black Friday ormai pratica consolidata anche in Italia, sembra esserci una frenesia all’acquisto, anche quando l’armadio è pieno.

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Secondo uno studio McKinsey, tra il 1995 e il 2014 il prezzo dei capi d’abbigliamento è cresciuto molto più lentamente degli altri beni di consumo e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

“È difficile resistere al buon affare, ma fast fashion significa che noi consumiamo e gettiamo i vestiti più velocemente di quanto il pianeta possa sopportare”, ha più volte sottolineato Kirsten Brodde della campagna “Detox my Fashion” di Greenpeace che va avanti dal 2011.

La produzione mondiale di vestiti è raddoppiata in questi ultimi 15 anni soprattutto perché una persona compra il 60% in più in abbigliamento rispetto a prima. Di conseguenza, dal 2000 al 2014 i brand hanno aumentato le collezioni, come segnala una ricerca di Greenpeace Germania. .

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Neanche il riciclo sembra una soluzione valida, perché ormai si è così tanto in esubero, che lo smaltimento totale delle fibre appare un miraggio.

Qual è l’impatto sull’ambiente?

Oltre alla plastica, non dimentichiamo l’inquinamento chimico prodotto dalle fabbriche, quello dei pesticidi nei campi di cotone, lo spreco di acqua ed energia che impattano sul riscaldamento globale. Il poliestere emette più co2 del cotone e si smaltisce con difficoltà.

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Chi ha fatto i miei vestiti?

Lo scandalo della fast fashion è esploso in tutta la sua drammatica dirompenza con il triste crollo del Rana Plaza, una enorme fabbrica tessile di Dakha, in Bangladesh, che crollò il 21 Aprile 2013, uccidendo miglia di operai e operaie, ferendone altrettante. Una tragedia che ha costretto noi occidentali a farci una domanda importantissima: chi ha fatto i miei vestiti? A quale prezzo? Qual è il loro vero costo?

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Qual è la soluzione?

Prima di tutto farsi una domanda: “Ho davvero bisogno di questo nuovo abito o è solo un capriccio per assecondare la moda del momento?”, seconda cosa scegliere i brand che vendono abbigliamento etico, quello che rispetta l’ambiente e i lavoratori, senza sfruttamento.

Dominella Trunfio

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