Dakota Access Pipeline: la Norvegia disinveste dall’oleodotto per salvare i Sioux

Via il denaro dal petrolio che sta mettendo in ginocchio i Sioux. Storebrand, il più grande investitore privato della Norvegia ha deciso di tirarsi indietro e di disinvestire dal Dakota Access Pipeline attraverso le tre società legate ad essa

Via il denaro dal petrolio che sta mettendo in ginocchio i Sioux. Storebrand, il più grande investitore privato della Norvegia ha deciso di tirarsi indietro e di disinvestire dal Dakota Access Pipeline attraverso le tre società legate ad essa.

Una vittoria significativa per il movimento dei Sioux di Standing Rock una settimana dopo lo sgombero dell’accampamento di protesta.

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Il tentativo della tribù di fermare l’oleodotto è diventato un grido di battaglia internazionale per indigeni e ambientalisti.

Storebrand, che ha all’attivo investimenti sostenibili pari a 68 miliardi di dollari, ha venduto le sue quote del Dakota access, per una cifra pari a 34,8 milioni di dollari, dalle tre società proprietarie: 11,5 milioni di dollari nella Philips 66, 7 milioni nella Marathon Petroleum Corporation e 16,2 nella Enbridge.

Matthew Smith, a capo del team di sostenibilità di Storebrand, si augura che tutti gli investitori possano fare lo stesso, in modo da avere un serio impatto sul progetto.

Una volta costruito, lo ricordiamo, il Dakota Pipeline trasporterà 450.000 barili di greggio al giorno dai campi di Bakken del Nord Dakota all’Illinois, e tutto questo mettendo a rischio le forniture d’acqua dei nativi, attraversando le loro terre ancestrali. Il progetto da 3,8 miliardi di dollari in parte è già realizzato, salvo la porzione che potrebbe passare sotto il Lago Oahe sul fiume Missouri, che è la principale fonte di acqua potabile per la vicina riserva di Standing Rock.

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Migliaia di persone hanno protestato negli accampamenti situati nei pressi del sito del fiume che attraversa il tracciato dell’oleodotto. I campi hanno visto frequenti scontri tra attivisti, forze dell’ordine e guardie di sicurezza private.

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Oltre ai siti di protesta, gli oppositori del hanno condotto campagne per il disinvestimento contro le società che hanno puntato sul Dakota Access. Utilizzando lo slogan Defund DAPL, gli attivisti hanno anche esortato privati e istituzioni a spostare il denaro dalle banche che ne finanziano la costruzione, tra cui Wells Fargo e Bank of America.

Finora, a mollare il Dakota Access sono stati una banca norvegese, la DNB, e il fondo comune di investimento norvegese Odino Fund Management, che ha venduto le azioni della società collegate all’oleodotto a novembre.

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Anche il Consiglio comunale di Seattle ha deciso di non rinnovare il contratto della città con Wells Fargo, banca coinvolta nel progetto dell’oleodotto, togliendo ben 3 miliardi di dollari dalle casse. Altre città stanno prendendo in considerazione iniziative simili.

Greenpeace, intanto, sta lavorando su questo fronte e ha lanciato una petizione, in cui chiede a Intesa San Paolo di smettere di finanziare il progetto:

“La più grande Banca Italiana, Intesa Sanpaolo, fa parte del consorzio di finanziatori di questo controverso progetto. Abbiamo scritto una lettera ufficiale ad Intesa Sanpaolo per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso. Intesa Sanpaolo non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante!” spiega l’associazione.

Per firmare la petizione, clicca qui

Francesca Mancuso

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