Le stufe a legna sono sicure o fanno male all'ambiente e alla salute? Si tratta ormai di un'alternativa diffusa sia in Italia che all'estero, anche per via degli incentivi di volta in volta a disposizione. Eppure, diversi studi hanno dimostrato che le stufe contribuiscono alla produzione di polveri sottili, PM10 e PM2,5
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Le stufe a legna sono sicure o fanno male all’ambiente e alla salute? Si tratta ormai di un’alternativa diffusa sia in Italia che all’estero, anche per via degli incentivi di volta in volta a disposizione. Eppure, diversi studi hanno dimostrato che le stufe alimentate con legna da ardere contribuiscono alla produzione di polveri sottili, PM10 e PM2,5.
Il fumo contiene anche inquinanti pericolosi come benzene, formaldeide, acroleina, ossidi di azoto e una classe di sostanze chimiche nocive chiamate IPA (Idrocarburi policiclici aromatici). Senza contare il monossido di carbonio, potenzialmente mortale.
Nel Regno Unito, la situazione è grave. Uno studio condotto a febbraio dal Royal College of Physicians ha avvertito che in generale l’inquinamento atmosferico provoca 40.000 morti all’anno. Secondo la ricerca, in Gran Bretagna circa un decimo dell’inquinamento dell’aria è legato alle stufe a legna.
In Francia, la Driee (Direction Régionale et Interdépartementale de l’Environnement et de l’Énergie d’Île-de-France) lo scorso inverno aveva vietato l’accensione dei camini domestici in tutta l’area parigina lasciando spazio solo ai soli caminetti chiusi purché dotati di appositi filtri per evitare l’immissione delle polveri nell’atmosfera. Secondo la Driee infatti un caminetto a legna acceso per mezza giornata emetterebbe la stessa quantità di polveri sottili, soprattutto PM10, di un’auto a gasolio che percorre 3.500 km.
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E in Italia? Vari studi hanno preso in esame la questione, mettendo talvolta a confronto le emissioni generate dalla combustione della legna con quelle prodotte dai mezzi di trasporto.
L’Arpa Veneto nel 2013 ha realizzato, su finanziamento della Regione, un’indagine rivolta ai cittadini sul consumo domestico di biomasse legnose. Salvatore Patti, dirigente del Servizio Osservatorio Aria, aveva spiegato che “anche il riscaldamento domestico contribuisce, in alcuni casi per una quota consistente, all’inquinamento dell’aria che respiriamo” come emerge dai bilanci effettuati periodicamente da Ispra e Arpa.
Considerando il Veneto, dunque, il riscaldamento domestico a biomasse legnose è la principale fonte di emissione per PTS, PM10 e PM2.5.
L’Arpa Lombardia, in un altro studio, ha evidenziato che il fumo da legna può contenere almeno cinque gruppi di sostanze chimiche classificate come cancerogene dall’IARC (International Agency for Resaerch on Cancer), ed almeno 26 sostanze chimiche indicate come pericolose dall’EPA (Environmental Protection Agency – USA).
Un altro studio dell’Arpa Emilia-Romagna ha messo a confronto l’inquinamento prodotto dalle stufe a legna con quello del traffico veicolare:
“Durante un inverno particolarmente freddo e con un uso di stufe a legna particolarmente elevato sono stati sottoposti a un’analisi combinata di caratterizzazione chimica e di modellistica per discriminare il contributo delle singole sorgenti di inquinamento, fino a definire due gruppi di campioni, uno con elevato contributo delle emissioni da stufe a legna (71%) rispetto al contributo di traffico veicolare (11%) e l’altro con un contributo del traffico veicolare 3 volte più elevato (33%). Il campione con il più elevato contenuto di fumo di legna risulta meno tumorigenico (di circa il 50%)”, spiega Annamaria Colacci dell’Arpa Emilia-Romagna.
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Qualcosa di antico e naturale come gettare del legno sul fuoco può davvero essere così pericoloso? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente.
Le stufe a legna possono considerarsi nemiche dell’ambiente?
No. Come in ogni settore le emissioni in questo caso dipendono dal tipo di combustibile e dalle teconolgie utilizzate. Oggi esistotno dispositivi, anche nel caso della produzione della legna che consentono di abattere di molto le emissioni di particolato. Le stime nazionali spesso mettono questo settore come una delle principali fonti di emissioni di particolato, ad esempio per l’area padana. Studi di settore però dimostrano come negli ultimi anni, grazie al calo dei consumi ma soprattutto grazie all’uso di moderne tecnologie tale apporto si sia notevolente ridotto. Altro fattore da tenere in considerazione è anche la tossicità dele emissioni prodotte che, rispetto a combustibili di altro tipo (ad esempio l’olio combustibile o il carbone) è notevolmente ridotto con l’utilizzo della legna. Inoltre nel caso dell’utilizzo della legna in stufe che rispondono ai requisiti attuali di efficienza nella combustione e all’utilizzo di combustibile di qualità, questo fattore viene ulteriromente ridotto. Come in altri settori, anche in questo occorre sviluppare una consapevolezza diffusa su quali stufe oggi occorre impiegare e come utilizzarle al meglio per ridurre le emissioni anche da questo comparto.
In termini di produzione di polveri sottili, inquina di più una stufa o il metano?
Per quanto riguarda le emissioni di particolato, il combustibile utilizzato per gli impianti di riscaldamento è una componente determinante, e in questo caso l’utilizzo della legna contibuisce in maniera maggiore rispetto al metano alle emissioni di particolato, ma ci sono differenze in funzione della tipologia di stufa utilizzata. Riprendendo quanto riportato nei lavori fatti dal Ministero dell’ambiente riguardo le fonti di emissione di particolato dagli impianti di riscaldamento la situazione è la seguente. Per quanto riguarda il PM10 si passa da 800 g/GJ prodotto per i camini aperti o le stufe tradizionali a legna, riducendosi a 76 g/GJ per le stufe automatiche a pellets o cippato fino ad azzerarsi per gli impianti alimentati a metano che presentano un fattore di emissione del particolato di soli 0,2 g/GJ prodotti.
Qual è il modo più ecologico per riscaldarsi? E quale quello che fa meno male alla nostra salute?
Bisogna anche in questo settore ridurre la dipendenza dai combustibili fossili maggiormente inquinanti, puntando su fonti energetiche rinnovabili e investire nella riqualificazione energetica degli edifici per ridurne i consumi e migliorarne l’efficienza e l’isolamento termico, garantendo così una riduzione nelle emissioni dagli impianti di riscaldamento domestici. Su questo è necessaria la sostituzione dei vecchi impianti con dispositivi efficienti e sistemi, quali il teleriscaldamento, che consentono di abbattere di molto le emissioni di inquinanti in atmosfera.
Primi obiettivi puntuali da porre a questo riguardo potrebbero essere: divieto di uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici. Obbligo di applicazione della contabilizzazione di calore nei condomini in tutta Italia. Obiettivo del 3% all’anno sulla riqualificazione degli edifici pubblici e privati per attuare il piano europeo per ammodernare o ricostruire l’intero patrimonio edilizio entro 30 anni.
Francesca Mancuso