Come mai la canapa è stata vittima di una demonizzazione così potente e generalizzata tanto da essere di fatto abbandonata e relegata in una sorta di oblio collettivo?
La canapa o cannabis è una pianta legnosa annuale costituita da un fusto alto e sottile, disseminato e sormontato da foglie, che può raggiungere e in alcuni casi superare i 4 metri di altezza. È caratterizzata da fibra eccezionalmente resistente, pasta ricchissima di cellulosa e semi estremamente nutrienti.
La canapa ha la peculiarità di essere una pianta straordinariamente versatile, in quanto può trovare impiego in tantissimi settori, a seconda dei differenti metodi di coltivazione e lavorazione.
Alcuni impieghi della canapa, come il tessile e l’alimentare, sono tradizionali o risalgono addirittura alla notte dei tempi: le vele delle navi dei Fenici erano fatte con tessuto di canapa. Altri prodotti invece sono resi possibili dalle moderne tecnologie, come ad esempio l’utilizzo di fibre di canapa come nanomateriale per stoccare energia.
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Dal tessile all’alimentare, passando per la cosmetica, l’industria della carta, la bioedilizia e la bioplastica fino alla produzione di energia: la canapa è protagonista in tutti questi ambiti produttivi.
O quantomeno avrebbe le potenzialità per giocare un ruolo da protagonista. Praticamente tutti i prodotti derivati dal petrolio potrebbero infatti essere sostituiti con derivati della canapa.
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La filiera della canapa non produce inquinamento, ma al contrario è sostenibile dal punto di vista ambientale per una serie di ragioni. Innanzitutto, crescendo la canapa sottrae le emissioni di anidride carbonica all’atmosfera.
Inoltre, utilizzando cellulosa di canapa, si riuscirebbe ad arrestare la piaga della deforestazione: la canapa è una pianta annuale e quindi il suo ciclo di vita è molto breve, a differenza degli alberi delle foreste che impiegano mediamente 30 anni per crescere. Infine, la lavorazione della canapa non produce rifiuti inquinanti o difficili da smaltire.
E allora la domanda sorge spontanea: come mai questa pianta è stata vittima di una demonizzazione così potente e generalizzata tanto da essere di fatto abbandonata e relegata in una sorta di oblio collettivo?
La risposta semplicistica potrebbe essere: a causa della marjuana che da essa si ricava, equiparata a una vera e propria droga poiché contiene il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) , un principio attivo dall’effetto psicotropo.
La spiegazione in realtà è al contempo più complessa e decisamente più esecrabile.
Canapa, le vere ragioni del divieto di coltivazione
La grande famiglia della canapa comprende diverse specie di piante. Tra di esse, la specie più utilizzata dall’uomo è la Canapa Sativa, la cui resina è praticamente priva di cannabinoidi, quelle sostanze psicotrope di cui il Thc è il principale componente.
I cannabinoidi invece sono presenti nelle foglie e nelle infiorescenze di un’altra specie di canapa, la Canapa Indiana o Canapa Indica. La sua resina è ricca di thc, e questo principio attivo è sempre stato utilizzato dall’uomo a scopo curativo. L’olio derivato dalla canapa costituiva un medicinale nella tradizione ayurvedica.
Ma anche in Occidente erano note le proprietà terapeutiche della cannabis. La pratica di fumare le foglie arrotolate di canapa con scopi curativi è molto antica. Per secoli, la cannabis è stata utilizzata come medicinale.
Questa pianta veniva usata come analgesico, contro le emicranie, l’epilessia, per contrastare la nausea e il vomito, il glaucoma, la debolezza muscolare, nel trattamento dei dolori provocati dal tumore. Per rendere l’idea della sua importanza terapeutica, si pensi che alla fine del XIX secolo, circa il 30% dei farmaci presenti sul mercato statunitense contenevano estratti di cannabis.
Il suo effetto psicotropo è in realtà abbastanza blando, e comunque svanisce dopo circa 2-3 ore dall’assunzione.
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In ogni caso, a fronte dei numerosi benefici terapeutici della canapa, le sue proprietà psicotrope non giustificano il boicottaggio che questa pianta ha subito a livello mondiale. La spiegazione è più sottile e molto più abietta. Come detto, la canapa può essere utilizzata anche per produrre carta, e, cosa non di poco conto, senza abbattere un solo albero durante il processo produttivo.
Alcune copie della Bibbia pubblicata da Gutenberg, così come la Costituzione francese e la stessa Costituzione americana sono state stampate su carta di canapa. All’inizio degli anni ’30 negli Stati Uniti venne introdotta una nuova tecnologia, che attraverso la meccanizzazione della lavorazione, consentiva di produrre carta a partire da cellulosa di canapa in maniera più economica rispetto alla cellulosa derivante dal legno.
Questa circostanza avrebbe messo a repentaglio l’impero di William Randolph Hearst, il magnate americano dell’industria cartiera, che proprio intorno a quegli anni aveva investito nell’acquisto di milioni di ettari di terreno boschivo destinati alla produzione di fibra di cellulosa.
La sua fiera avversione alla canapa incontrò la convergenza altrettanto interessata di Lammot Dupont, un industriale che aveva appena ottenuto l’autorizzazione dal Congresso per brevettare alcune fibre sintetiche derivanti dal petrolio, tra cui la principale era il nylon.
Entrambi i magnati erano finanziati dal banchiere Andrew Mellon, che fece pressioni sul Congresso affinché la coltivazione della canapa fosse bandita. Attraverso la collaborazione attiva e compiacente di suo genero Harry Anslinger, a capo dell’Ufficio Federale Narcotici, venne architettata una poderosa e vergognosa campagna mediatica per demonizzare la mariujana.
Venivano proiettate immagini di persone che, in preda agli effetti allucinatori della mariujana, si suicidavano o compivano delitti efferati, arrivando addirittura ad uccidere altre persone. Persino il nome di questa droga non venne scelto a caso. Marijuana era il nome messicano per indicare l’erba.
Esattamente come oggi, nell’immaginario collettivo dell’americano medio, i Messicani rappresentavano i nemici. Dopotutto, negli anni Trenta, gli echi della guerra tra Usa e Messico (1846-1848) deflagrata a causa dell’annessione americana del Texas non erano poi così lontani.
Per cui, attribuire un nome preso da un idioma percepito come nemico ad una sostanza ritenuta estremamente pericolosa, non faceva altro che rafforzarne il valore negativo. La campagna mediatica e la pressione delle lobby della carta e del petrolio sfociò nel Marijuana Tax Act del 1937, con cui veniva di fatto proibito l’uso, il commercio e la coltivazione della canapa in tutto il territorio degli Stati Uniti.
Anche se il thc si trova solo nelle foglie e nei fiori di una specie particolare di canapa, la Canapa Indica, il divieto si estese alla produzione dell’intera famiglia della canapa e di ogni sua parte. Venne usata la leva della droga e della pericolosità sociale per mascherare biechi interessi commerciali.
Nel 1941 Henry Ford, il pioniere dell’industria automobilistica, realizzò un prototipo di autovettura con fibra di canapa e agave, interamente alimentato con etanolo di canapa. La Hemp Body Car risultava molto più leggera dell’acciaio, e ben 10 volte più resistente agli urti.
Inoltre, l’alimentazione con un carburante derivato dalla canapa consentiva di fare a meno della benzina e di altri combustibili derivanti dal petrolio, con grandissimi benefici per l’ambiente. L’ ambizione di Ford era quella di realizzare veicoli interamente costituiti e alimentati dalla canapa e suoi derivati.
Sfortunatamente, egli morì pochi anni dopo, nel 1947, e i suoi progetti vennero abbandonati, dietro pressione delle lobby petrolchimiche, che vedevano nell’automobile di canapa un pericoloso concorrente.
La feroce demonizzazione nei confronti di questa pianta, ormai avviata, si dimostrò inarrestabile e destinata ben presto a varcare gli stessi confini americani. Alla fine degli anni ’50, gli Stati Uniti avevano acquisito una vera e propria leadership economica e politica anche grazie al coinvolgimento e alla vittoria militare nel conflitto mondiale.
Attraverso la loro egemonia a livello planetario riuscirono ad imporre il divieto di coltivare la canapa praticamente in tutti gli Stati sotto il loro controllo diretto o indiretto. Questa proibizione ebbe però effetti devastanti per la salute del pianeta, poiché, contribuendo alla diffusione dei derivati del petrolio, aprì la strada a fenomeni fino ad allora sconosciuti: inquinamento e produzione di gas serra.
È proprio a partire dagli anni ’60 che il dibattito dell’ opinione pubblica americana si focalizza sulla pericolosità dei cfc, acronimo di clorofluorocarburi. Si tratta di composti chimici derivanti dal metano e dall’etano, altamente inquinanti per l’atmosfera e considerati principali responsabili dell’effetto serra e del surriscaldamento del pianeta. Sono noti col nome commerciale di freon, marchio registrato guarda caso proprio dall’azienda chimica Dupont.
Inoltre, come avviene sempre, il proibizionismo ha finito per produrre l’effetto opposto, incrementando l’uso della marijuana per finalità psicotrope. Non solo. Lo stigma di pianta proibita ha aumentato l’interesse economico da parte delle organizzazioni criminali, dirottandolo anche verso altre componenti della canapa, sfruttate per lucrare ingenti profitti. Oltre alla marijuana, oggi nel mercato nero troviamo spesso l’hashish, che è la resina della canapa, ad alta concentrazione di thc.
L’hashish ha un effetto psicotropo più potente rispetto alla marijuana, e soprattutto è molto più frequente che venga alterato con altre sostanze, come la paraffina oppure altre più pericolose, quali sabbia e vetro polverizzato. Si stima che nell’hashish venduto per strada ci sia una concentrazione di principio attivo mediamente pari al 3- 4%, praticamente quasi nulla.
Il proibizionismo sulla marijuana ha invece ottenuto di fatto il devastante risultato di annientare la produzione di canapa industriale e di criminalizzare la cannabis a scopo terapeutico. Con effetti deleteri sull’ambiente e sulle possibilità di cura delle persone.
Negli ultimi anni, stiamo assistendo a una lenta riscoperta della canapa e ad un leggero incremento della sua produzione.
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Le persone tendono ad informarsi di più, e i benefici di questa pianta prodigiosa cominciano ad essere conosciuti da un numero crescente di persone.
Negli Stati Uniti, ad esempio, contestualmente alle votazioni presidenziali e la vittoria di Donald Trump, in 9 Stati si è votato per la legalizzazione della marijuana. Uno, l’Arizona, l’ha respinta. Gli altri otto Stati invece hanno approvato la legalizzazione della cannabis a scopo terapeutico.
Di questi otto, quattro Stati (California, Nevada, Maine e Massachussets) hanno approvato l’uso della marijuana anche a scopo ricreativo.
Sono piccoli passi, segnali di un’incipiente inversione di rotta. Ma la traversata è ancora lunga e tempestosa.