305 gruppi etnici e almeno 274 lingue diverse: stiamo parlando degli indigeni brasiliani, 900.000 persone che, con la loro presenza, fanno dello Stato sudamericano uno dei paesi con la più alta diversità socio-culturale al mondo, ma che, troppo spesso, sono vittime di atti di violenza, di soprusi e di discriminazioni. Mentre gli occhi del mondo sono concentrati su Rio e sulle Olimpiadi, cogliamo l'occasione per ricordarci anche di loro, dei loro diritti e della straordinaria ricchezza delle loro culture e tradizioni.
305 gruppi etnici e almeno 274 lingue diverse: stiamo parlando degli indigeni brasiliani, 900.000 persone che, con la loro presenza, fanno dello Stato sudamericano uno dei paesi con la più alta diversità socio-culturale al mondo, ma che, troppo spesso, sono vittime di atti di violenza, di soprusi e di discriminazioni. Mentre gli occhi del mondo sono concentrati su Rio e sulle Olimpiadi, cogliamo l’occasione per ricordarci anche di loro, dei loro diritti e della straordinaria ricchezza delle loro culture e tradizioni.
Dall’inzio degli anni Duemila, il numero di indigeni residenti nelle aree urbane del Brasile è mano a mano diminuito, mentre è aumentato nei villaggi e nelle campagne. D’altro canto, la percentuale di indigeni in grado di esprimersi in una lingua madre è sei volte più alta tra coloro che continuano a vivere nelle terre ancestrali che tra quanti si sono trasferiti in città. E anche il tasso di fertilità delle donne è sensibilmente maggiore nelle terre avite.
Questi e altri trend sono evidenziati da Caderno Temático: Populações Indígenas, lo studio più completo mai condotto dall’IBGE (Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica) sui popoli indigeni del Paese sudamericano.
La ricerca, che si basa sul censimento condotto nel 2010 e che è stata pubblicata qualche settimana fa, mostra come, tra il 2000 e il 2010, la percentuale di indigeni brasiliani residenti nelle regioni del Sud e del Sud-Est del Paese sia progressivamente diminuita, mentre è cresciuta in altre regioni, in particolare a Nord. Nello stesso periodo, è diminuita anche la percentuale di indigeni che risiedono nelle aree urbane, con un trend inverso rispetto a quello del resto della popolazione brasiliana.
Secondo i ricercatori, la diminuzione degli indigeni nelle aree urbane e nel sud del Paese coincide con un processo di ritorno alle terre ancestrali, di cui sempre più tribù stanno chiedendo la demarcazione, affinché i confini siano ufficialmente riconosciuti dalle autorità locali e dallo Stato federale e siano fatti rispettare. Una seconda possibilità è che nel Sud, nel Sud-Est e nelle città molte persone che un tempo si dichiaravano indigene abbiano semplicemente smesso di farlo, assimilandosi al resto della popolazione.
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Ad oggi, il 57,7% degli indigeni brasiliani vive nelle terre avite. Per quanto invece riguarda i centri urbani, la classifica di quelli con il maggior numero di indigeni è guidata da São Gabriel da Cachoeira, nel Nord-Ovest dell’Amazzonia. La città, nella quale vivono oltre 29.000 nativi, è stata la prima ad approvare come lingue ufficiali, accanto al portoghese, ben tre lingue native. Al quarto posto troviamo San Paolo, la cui popolazione indigena, anche se in declino, si attesta sulle 13.000 unità e si concentra in larga parte in villaggi di periferia.
Secondo i ricercatori dell’IBGE, lo studio, mostrando nei dettagli le condizioni in cui vivono gli indigeni brasiliani, potrà essere utile alle autorità per pianificare delle politiche pubbliche differenziate, che tengano conto delle loro esigenze e peculiarità, in un periodo in cui si ha spesso notizia di sopraffazioni e violenze ai danni delle popolazioni native.
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Per gli attivisti, invece, si tratta di un modo per far conoscere meglio la cultura indigena, combattendo l’ignoranza che la circonda e gli stereotipi largamente diffusi nel resto della popolazione.
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È quanto afferma, ad esempio, l’attivista Denilson Baniwa, indigeno e pubblicitario a Rio de Janeiro, che racconta di incontrare spesso persone che pensano che gli indigeni vivano ancora come cinque-seicento anni fa e che si chiedono come si possa considerare indigeno qualcuno in grado di esprimersi in portoghese o di lavorare al computer.
“Rispondo che la cultura non è statica, che si adatta nel corso del tempo.” – spiega in proposito Baniwa – “E chiedo loro perché non indossano gli stessi abiti indossati dai portoghesi nel 1500, perché non parlano lo stesso portoghese e perché non usano i computer del 1995.”
Mentre si batte contro i pregiudizi che colpiscono gli indigeni che, come lui, vivono e lavorano nei centri urbani, Baniwa afferma anche che ogni popolo dovrebbe essere libero di decidere come relazionarsi con il resto della società, rivendicando il diritto delle tribù native a rimanere incontattate.
“Se un popolo ritiene che il contatto con il mondo moderno non sia utile e preferisce rimanere isolato nella propria terra, ci batteremo affinché questa decisione venga rispettata.”
Lisa Vagnozzi
La ricchezza culturale degli indigeni brasiliani rivelata da uno studio