Quel 10 luglio del 1976 nessuno avrebbe potuto forse immaginare che la vita di tutti gli abitanti di Seveso e Meda (e non solo) sarebbe per sempre cambiata.
Quarantotto anni fa succedeva quello che è stato considerato uno dei più gravi disastri ambientali italiani: la fuoriuscita di una nube di diossina dall’azienda chimica Icmesa, in provincia di Monza e Brianza.
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Che cosa accadde durante l’incidente di Seveso?
L’Icmesa era un’industria chimica di Meda, un piccolo comune al confine con Seveso. Qui si lavoravano prodotti chimici e farmaceutici. Un’azienda malvista dal sindaco dell’epoca e dai cittadini costretti a vivere ogni giorno tra gas, scarichi e inquinamento delle falde acquifere.
Nel 1974 il direttore dell’Icmesa era stato addirittura denunciato per aver “corroso ed adulterato acque sotterranee destinate alla alimentazione rendendole pericolose per la salute pubblica”. Accuse poi confermate dalle analisi in laboratorio, ma il direttore venne assolto per insufficienza di prove.
Il 10 luglio del ’76 alle 12.37 il sistema di controllo di un reattore chimico andò in avaria, l’alta temperatura provocò una reazione che portò alla creazione di TCDD, una delle diossine più tossiche e pericolose, ribattezzata dopo il disastro come “diossina Seveso”.
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Le conseguenze furono disastrose: la nube tossica colpì tutti i comuni vicini e il 18 luglio l’Icmesa venne chiusa. Ma la zona venne evacuata solo quattordici giorni dopo. Vennero demolite case, abbattuti animali, distrutte piantagioni.
I dirigenti dell’ICMES cercarono attivamente di minimizzare l’incidente, lasciando i lavoratori, i cittadini e i sindaci delle città brianzole più colpite come Seveso e Meda all’oscuro della gravità della situazione. Queste persone continuarono a vivere e lavorare normalmente, ignari del veleno che stavano inalando o consumando con i prodotti dell’orto. La notizia dell’incidente venne tenuta nascosta per oltre una settimana, finché i giornali non iniziarono a parlarne, anche grazie all’intervento di Laura Conti, pioniera dell’ambientalismo italiano: partigiana, medico, scienziata, divulgatrice e politica italiana, che si schierò immediatamente al fianco della popolazione e cercò di rompere il muro di silenzio che si era abbattuto su Seveso.
Laura Conti all’epoca era anche consigliera della Regione Lombardia e fece tutto il possibile per limitare le conseguenze del disastro, ma si scontrò con l’incapacità delle amministrazioni pubbliche di agire prontamente e adeguatamente di fronte alla gravità degli eventi e alla pericolosità della diossina.
Le conseguenze del disastro di Seveso
Il terreno più contaminato venne prelevato e depositato in vasche di contenimento monitorate, venne immessa nuova terra, piantati nuovi alberi che hanno dato vita al Parco naturale Bosco delle Querce. Settecento persone furono gli sfollati di cui almeno 200 colpite da cloracne, un’eruzione cutanea.
Dopo il disastro venne aperto un processo penale e civile contro l’Icmesa e nel 1980 l’azienda fu costretta a rimborsare sia lo Stato che la Regione Lombardia per le spese di bonifica. Quello che avvenne a Seveso scosse anche le coscienze europee: nel 1982 venne approvata una direttiva chiamata “direttiva Seveso” che impone da allora agli stati membri di identificare gli stabilimenti a rischio e di stabilire una serie di rapporti periodici e piani di intervento in caso di emergenza.
Un incidente che inizialmente è rimasto nell’ombra è diventato la prima grande tragedia mediatica in Italia. I bambini affetti da cloracne sono stati esposti sui giornali di tutto il paese, i soldati sono stati impegnati nell’evacuazione delle case, e le donne in gravidanza sono state seguite dai giornalisti.
Ma una volta che l’attenzione mediatica si è placata, questa vicenda è gradualmente scomparsa nel corso degli anni, sfumando nei ricordi e nella memoria di coloro che non l’hanno vissuta personalmente.
Forse perché a Seveso non si sono verificate morti accertate o effetti immediati, ma le conseguenze si protraggono fino ai giorni nostri.
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