Abiti usati: dove vanno a finire quelli messi nel cassonetto?

Dove vanno a finire gli abiti usati che vengono raccolti nei cassonetti gialli? Forse vi siete chiesti se vadano davvero in beneficenza o se entrino a fare parte di un vero e proprio business.

Dove vanno a finire gli abiti usati che vengono raccolti nei cassonetti gialli? Forse vi siete chiesti se vadano davvero in beneficenza o se entrino a fare parte di un giro di affari illegale. Purtroppo non tutti gli abiti usati vengono destinati ai bisognosi.

Proviamo a rispondere a questa domanda grazie al nuovo dossier presentato da Humana People e da Occhio del Riciclone Onlus. Lo studio “Indumenti usati: come rispettare il mandato del cittadino?” mette sotto la lente di ingrandimento tutti gli anelli della filiera, dalla scelta degli operatori per la raccolta degli abiti usati alla consegna degli indumenti da parte del cittadino, fino alle ricadute sociali generate da questo gesto volontario.

Lo studio mostra alcuni meccanismi opachi che in Italia potrebbero mettere a rischio la fiducia dei cittadini sulla possibilità di partecipare a progetti di solidarietà grazie al conferimento di abiti usati nei cassonetti gialli.

Le cifre sono da capogiro. Ogni anno in media vengono raccolte 110 mila tonnellate di abiti usati che vanno ad alimentare un giro d’affari da circa 200 milioni di euro in Italia. Gli abiti raccolti finiscono per alimentare traffici illeciti. Di recente lo hanno svelato le inchieste sulla Terra dei Fuochi e su Mafia Capitale.

Il problema potrebbe riguardare il comportamento irregolare di alcuni operatori per il servizio di raccolta degli abiti usati. Il problema è che il criterio della trasparenza non è un requisito richiesto nei bandi di gara per l’assegnazione del servizio per la raccolta degli abiti usati.

Ad esempio, non viene richiesto un certificato antimafia e nemmeno un chiarimento sull’utilizzo che di quei vestiti verrà fatto. Accanto a soggetti che operano in modo corretto, ecco purtroppo in arrivo chi pratica contrabbando, traffico illecito di rifiuti e riciclaggio di denaro sporco.

Come funziona, dunque, la filiera della raccolta degli abiti usati in Italia?

La filiera degli indumenti usati raccolti in Italia si sviluppa in varie fasi prima di arrivare all’utilizzatore finale dell’abito usato o all’industria del riciclo e del recupero, i cui principali passaggi sono:

1) Il conferimento del cittadino
2) La raccolta degli indumenti
3) Lo stoccaggio (in proprio o tramite un intermediario)
4) La vendita o il trasferimento ad impianti di recupero
5) L’igienizzazione e la classificazione
6) La vendita intermedia e finale della frazione riutilizzabile, che può avvenire in Italia o all’estero
7) Il recupero o riciclo delle frazioni non idonee al riutilizzo

Nel corso della filiera intervengono vari attori e soggetti gestori: ognuno di essi si posiziona in una o più fasi della filiera in virtù delle sue competenze, della sua capacità operativa e della sua abilità di posizionamento sul mercato (o, purtroppo, come accade spesso in Italia, attraverso l’intimidazione).

raccolta abiti usati

È frequente che piccole cooperative radicate nel territorio vendano a grandi intermediari che a loro volta vendono ai gestori di impianti per la classificazione e l’igienizzazione e ai distributori intermedi che riforniscono di merci i venditori al dettaglio in Italia o in paesi importatori.

In questi casi la cooperativa non è altro che l’appendice visibile della filiera, ossia quella che funziona da interfaccia con i cittadini e ottiene la loro fiducia. O, al contrario, può essere un unico soggetto gestore a coprire quasi tutte le fasi della filiera; in questo caso con un gestore onesto tutto va liscio e gli abiti usati sono davvero destinati in beneficenza.

Purtroppo però, secondo la Direzione Antimafia, buona parte delle donazioni di indumenti usati che i cittadini fanno per solidarietà finiscono per alimentare un traffico illecito dal quale camorristi e sodali di camorristi traggono enormi profitti.

Altri problemi riguardano il commercio al nero, le frodi doganali e le operazioni di riciclaggio di denaro sporco. È spesso praticato il “transfer mispricing”, che consiste nell’attribuzione di quote di prezzo artificialmente elevate ad anelli della catena ubicati in paradisi fiscali o in paesi dove la tassazione è significativamente più bassa. Non bisogna dimenticare una questione che è molto oggetto di dibattito, cioè l’impatto dell’usato sulle economie locali dei paesi non industralizzati dove buona parte degli indumenti usati viene venduta.

La nota positiva, per concludere, è data dalle realtà che operano in buona fede e dal fatto che grazie alla raccolta di 110 mila tonnellate di scarti tessili, in Italia nel 2013 è stata evitata l’emissione in atmosfera di una quantità di Co2 equivalente compresa tra le 396 mila e le 451 mila tonnellate e sono stati risparmiati 462 miliardi di litri d’acqua. Di fronte alle questioni illegali, dovranno essere le autorità ad intervenire per garantire ai cittadini che gli abiti usati vengano destinati davvero ai bisognosi. Dei cassonetti interattivi, come nel progetto Goodwill attivo a San Francisco, potrebbero facilitare la beneficenza?

Marta Albè

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