Fotovoltaico nello spazio entro il 2050: l’idea della Cina

Altro che taglio delle emissioni. Per la Cina, la soluzione contro i cambiamenti climatici e la crisi energetica non sta nella riduzione della CO2 con l'addio alle fonti fossili. Ma la produzione di energia va spostata nello spazio, sfruttando ad esempio le potenzialità del solare “ad alta quota”. Allo studio della Chinese Academy of Sciences (CAS), infatti, una stazione spaziale che produca energia elettrica in orbita, inviandola poi alla Terra

Altro che taglio delle emissioni. Per la Cina, la soluzione contro i cambiamenti climatici e la crisi energetica non sta nella riduzione della CO2 con l’addio alle fonti fossili. Ma la produzione di energia va spostata nello spazio, sfruttando ad esempio le potenzialità del solare “ad alta quota”. Allo studio della Chinese Academy of Sciences (CAS), infatti, una stazione spaziale che produca energia elettrica in orbita, inviandola poi alla Terra.

La centrale avrebbe un’orbita geosincrona. Ciò significa che si muoverebbe insieme al nostro pianeta. Dotata di enormi pannelli fotovoltaici, essa riuscirebbe a produrre elettricità 24 ore su 24 visto che eviterebbe le ore di buio della notte. Infine, l’energia verrebbe inviata alla Terra o tramite un collettore o convertita in microonde o laser.

Quasi fantascienza. Ne aveva parlato negli Anni Quaranta lo scrittore Isaac Asimov nel suo racconto breve “Reason”, in cui una stazione spaziale trasmetteva a vari pianeti l’energia ottenuta dal sole utilizzando fasci di microonde.

Secondo Wang Xiji, scienziato della Accademia Cinese delle Scienze (CAS) e membro dell’Accademia Internazionale di Astronautica, la narrativa di Asimov ha una base scientifica.

Dopo aver dedicato più di mezzo secolo alla ricerca tecnologia spaziale, il 93enne Wang spiega i vantaggi dell’idea della Cina: “Una stazione di produzione spaziale economicamente sostenibile dovrebbe essere davvero enorme, con la superficie totale dei pannelli solari pari a 15 mila km quadrati”. Ciò equivale a 12 volte le dimensioni di piazza Tiananmen e a quasi due volte quella di Central Park, a New York. “Forse la gente sulla Terra potrebbe vederla nel cielo notturno, come una stella”, dice Wang.

Ma perché costruire una centrale elettrica nello spazio? Secondo lo scienziato, l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici a terra dipende dall’alternanza tra giorno e notte e dalle condizioni meteo. Al contrario, un generatore di energia spaziale, essendo libero da questi limiti, sarebbe in grado di catturare energia per il 99 per cento del tempo.

Un’idea tutt’altro che originale, quella cinese, visto che anche Stati Uniti e Giappone, hanno mostrato ampio interesse verso la produzione energetica oltre i confini della Terra.

L’Accademia delle scienze cinese però da anni è allo studio di un sistema di questo tipo, spiegando che il paese sarà in grado di realizzare una stazione spaziale solare sperimentale entro il 2030, con l’impianto definitivo a regime entro il 2050.

Più facile a dirsi in realtà. Una centrale elettrica spaziale peserebbe più di 10.000 tonnellate. I pochi razzi oggi in attività possono trasportare un carico utile di oltre 100 tonnellate nella bassa orbita terrestre. Per portare in orbita tutto il materiale necessario ci vorrebbero numerosi viaggi.

Un’impresa impossibile con i mezzi attuali. Ci vorrebbero infatti moduli fotovoltaici molto più sottili e leggeri, con il peso di ogni pannello inferiore a 200 grammi per metro quadro.

Forse la Cina un giorno ci riuscirà. E forse la ricerca per migliorare prestazioni e peso dei pannelli sarà utile anche sulla Terra. Ma chissà se allora la possibilità di produrre energia nello spazio riuscirà a convincere gli stati ad abbandonare le fossili.

Ma se davvero l’uomo riuscirà ad inviare in orbita i pannelli fotovoltaici per la produzione di energia, cosa accadrà quando si guasteranno o andranno sostituiti? Altra spazzatura in orbita?

Francesca Mancuso

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