I materiali di cui sono composte le celle fotovoltaiche non sempre sono ecologiche e riutilizzabili. Per questo si sta puntando sempre di più al fotovoltaico organico. Ma in Spagna si va oltre, con un nuovo pannello solare che trae l'energia dai batteri presenti nel terreno
I materiali di cui sono composte le celle fotovoltaiche non sempre sono ecologici e riutilizzabili. Per questo si sta puntando sempre di più al fotovoltaico organico. Ma in Spagna si va oltre, con un nuovo pannello solare che trae l’energia dai batteri presenti nel terreno.
Questi ultimi infatti rilasciano degli elettroni che vengono ‘estratti’ dal pannello e riutilizzati nei suoi circuiti. Merito della cella a combustibile microbico installata dal alcuni studenti dell‘Institute for Advanced Architecture of Catalonia (IAAC) nell campus Valldaura dell’Istituto per architettura avanzata della Catalogna. Il sistema è dotato di sensori che mostrano il suo status e lo rendono autosufficiente.
Come funziona?
Non servono materiali costosi, anzi. Secondo gli ideatori chiunque potrebbe riuscire a creare il pannello a casa. Gli unici materiali necessari sono un pannello dove sistemare le piante e dei piccoli pezzi di metallo, opportunamente assemblati, per gestire le piante. Queste ultime mantengono i batteri in vita nel suolo perché essi si alimentano attraverso i sottoprodotti della fotosintesi delle piante stesse. Introducendo un anodo e un catodo nel terreno (in sostanza una batteria), gli elettroni liberi possono essere catturati e messi al lavoro per produrre energia.
Cascuno dei componenti del biopannello ha dei parametri che possono essere modificati per controllare i processi e l’efficienza della produzione: dal tipo di pianta alle caratteristiche del suolo che favoriscono la crescita microbica fino ai materiali della batteria che contribuiscono a determinare l’efficienza del modo in cui gli elettroni vengono raccolti e trasferiti.
Cambiando la pianta si può avere la stessa quantità di energia elettrica prodotta, spiega Apostolos Marios Mouzakopoulos, uno degli studenti che lavorano al progetto: “Ad esempio abbiamo usato il muschio, una pianta che necessita di luce solare minima per vivere ma livelli elevati di umidità”. E ha funzionato.
Ma il biopannello fotovoltaico va bene anche in regioni con meno acqua, utilizzando piante come i cactus. I sensori all’interno del sistema sarebbero comunque in grado di regolare automaticamente l’umidità del pannello.
Il fatto che anche questo pannello non sia direttamente esposto alla luce del sole lo rende adatto ad essere utilizzato in luoghi che normalmente non sarebbero abbastanza luminosi per il classico fotovoltaico. Ma non solo. L’utilizzo di questo sistema potrebbe essere particolarmente indicato nei paesi in via di sviluppo, dove manca ancora la copertura di energia elettrica. Basta un po’ di verde per accendere la luce.
Dall’altra parte, l‘industria del solare sta lottando per affrontare il problema dei rifiuti e degli acidi utilizzati nella fabbricazione dei pannelli, che creano fanghi tossici e usano metalli come l’arseniuro di gallio nelle celle solari a film sottile. Si tratta di rifiuti pericolosi che l’industria non è ancora in grado di gestire oggi e quando un giorno i pannelli fotovoltaici in uso andranno in pensione. In questo senso, i pannelli bio potrebbero essere la soluzione, ma hanno un grande difetto: non possono ancora produrre energia in modo efficiente. Ci vorrebbero tantissime piante per alimentare una sola abitazione ma non è escluso che una volta migliorato, il prototipo iniziale possa essere valido in futuro.
Francesca Mancuso
Fonte e Foto: Designboom
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