Algeria tra natura e cultura senza tempo

Non si può parlare, in Algeria, di turismo culturale e turismo naturale, come se fossero due entità separate: si fondono, s'intrecciano.

C’è un luogo, in Algeria, da cui con un solo sguardo è possibile abbracciare le quattro realtà che rendono questo paese la meta perfetta per chi cerca un turismo un po’ diverso dal solito. Si tratta di Tipaza, una piccola città a una sessantina di chilometri da Algeri.

Il paese in sé non è niente di che, ma con appena 200 dinari algerini (poco meno di due euro) è possibile accedere al sito archeologico romano per cui è famosa. E, proprio in cima a un dolce promontorio, ecco il panorama che stavamo cercando: da un lato il Mediterraneo, blu zaffiro e caldo; di fronte una città romana che ha più di duemila anni, inginocchiata dal tempo; dall’altro lato in lontananza verdi colline che fra qualche mese si trasformeranno in aride dune ocra; e dietro, infine, i piedi dell’Atlante, la catena montuosa marocchina. Mare, montagna, cultura e deserto, tutto in un solo Paese, tutto a portata di vacanza.

Non si può che rimanere a bocca aperta. In Italia siamo abituati a vedere resti romani ad ogni angolo di strada, è vero, ma le rovine algerine hanno qualcosa di unico al mondo: la loro posizione. Dall’Arena di Verona fino ai fori imperiali di Roma, le vestigia del nostro passato sono circondate dalla modernità e completamente integrate con i palazzi di vetro, i semafori e le strisce pedonali.

In Algeria, invece, i siti archeologici rimangono alieni all’asfalto e ai parchimetri: una volta entrati tra i mozziconi di colonne nate prima dell’anno 0, non c’è niente a ricordarci che viviamo nel XXI secolo. Fino all’orizzonte, in ogni direzione, non si vedono che gialle pietre squadrate che lastricano il terreno, accenni di mosaici termali, impressioni di templi agli dei della natura. È questa che ha imparato a convivere con mercati e fori in disuso, qui: i pini marittimi, piegati dal soffio salato del mare, ombreggiano piccoli fiori dai petali azzurri e strani ricci violacei, che si fanno strada su per i gradoni dell’anfiteatro o dentro nell’oscurità delle cisterne di cui non si vede il fondo.

Tempio Djemila

A Setif, un’altra straordinaria località poco a sud, nell’entroterra, questa sensazione è, se possibile, ancora più forte. Perché Djemila, la città romana, non dà sul mare e i suoi 42 ettari sono completamente immersi in una natura incontaminata. Tutto quello che si vede è identico a come lo vedevano i suoi 50mila abitanti, nel II secolo avanti Cristo. Sembra quasi di fare un viaggio nel tempo, oltre che nello spazio. Il fuso orario cambia solo di un’ora, ma sembrano essere i millenni a scorrere tra le lancette.

Tomba cristiana

Non si può parlare, in Algeria, di turismo culturale e turismo naturale, come se fossero due entità separate: si fondono, s’intrecciano. Per visitare siti come Tiddis o Ippona bisogna immergersi in questi luoghi senza tempo, e camminando per i sentieri che costeggiano il mare si può incontrare, del tutto fortuitamente, una catacomba cristiana dei primissimi secoli dopo Cristo, perfettamente conservata e abbandonata in luoghi ancestrali. Ma ci si può anche perdere nei vicoli tortuosi della casbah (il cuore berbero ancora pulsante, nonostante le migliaia di anni sulle spalle, di Algeri o Constantine o Annaba), o fare il bagno a mezzanotte in un mare così limpido da sembrare leggero e così selvaggio da essere illuminato dalle stelle.

Fontana Casbah

Chi viene in Algeria, prima o poi torna”. È un detto conosciuto da tutti, laggiù. E probabilmente è vero: sarà la gentilezza che si legge negli occhi delle persone; sarà il vento del mare che racconta storie arabe, latine, francesi, berbere; sarà il sapore dell’acqua o quello degli hfef e pjahap o del melek; sarà la reminescenza di una sanguinosa guerra d’indipendenza ancora così vicina. Non so che cosa sia, ma l’Algeria ci mette poco tempo a entrarti nel cuore e tanto a uscirne.

Niccolò Panozzo

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