Troppi zuccheri nei cibi integrali. Almeno negli Usa. È questo l’allarme lanciato da uno studio della Harvard Medical School di Boston pubblicato sulla rivista Public Health Nutrition, che punta i riflettori sulle attuali norme per la classificazione dei cibi fatti con farine integrali. Non sono coerenti , anzi, potrebbero essere fuorvianti, dicono i ricercatori. Vediamo perché.
Troppi zuccheri nei cibi integrali. Almeno negli Usa. È questo l’allarme lanciato da uno studio della Harvard Medical School di Boston pubblicato sulla rivista Public Health Nutrition, che punta i riflettori sulle attuali norme per la classificazione dei cibi fatti con farine integrali. Non sono coerenti , anzi, potrebbero essere fuorvianti, dicono i ricercatori. Vediamo perché.
Prima di tutto, il team guidato da Rebecca Mozaffarian, responsabile del progetto del Department of Social and Behavioral Sciences ha identificato un totale di 545 prodotti di grano in otto categorie: pane, ciambelle, muffin inglesi, cereali, crackers, barrette di cereali, barrette di cereali e patatine. Successivamente ne hanno analizzato il contenuto nutrizionale, le liste degli ingredienti e la presenza, o l’assenza, del timbro Whole Grain, uno degli standard più diffusi che identifica i prodotti contenenti almeno 8 grammi di cereali integrali per porzione.
È così che hanno scoperto come i prodotti certificati avevano sì livelli più elevati di fibre e un basso contenuto di grassi trans, ma anche molto più zucchero e calorie rispetto ai prodotti senza il marchio. Quindi fanno più male alla salute e possono contribuire al rischio di obesità. “I nostri risultati aiuteranno a fornire dibattiti nazionali circa l’etichettatura dei prodotti, programmi di refezione scolastica e una guida per i consumatori e le organizzazioni nei loro tentativi di selezionare prodotti integrali“, ha detto in una nota l’autore senior Steven Gortmaker, professore della pratica della sociologia della salute.
I ricercatori, infatti, sperano di sollecitare, grazie alla loro ricerca, l’adozione di uno standard coerente, basato su prove standard per l’etichettatura cibi integrali che aiutino i consumatori e le organizzazioni a fare scelte sane. La strada, quindi, è ancora lunga, visto che questo è il primo studio che valuta empiricamente la salubrità dei cibi integrali.
“Data la significativa prevalenza di cereali raffinati, amidi e zuccheri nelle diete moderne, individuando un criterio unificato per individuare i carboidrati di qualità superiore è una priorità fondamentale della sanità pubblica“, conclude il primo autore, Rebecca Mozaffarian.
Ma sarà solo un problema made in Usa?
Roberta Ragni
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