Tre pianeti per sfamarne uno! Tra meno di quaranta anni, per soddisfare le esigenze alimentari della popolazione del globo ci vorranno ben tre pianeti.
Tre pianeti per sfamarne uno! Tra meno di quaranta anni, per soddisfare le esigenze alimentari della popolazione del globo ci vorranno ben tre pianeti.
Il motivo? Consumiamo troppo, sprechiamo tanto e il cibo non basta più per tutti.
Nel giro di pochi decenni siamo arrivati a consumare molto di più di quanto il sistema agricolo mondiale riesca a produrre e – se le attuali tendenze non cambieranno – nel 2050, il cibo disponibile sulla Terra non sarà sufficiente a sfamare neanche un terzo della popolazione mondiale.
Ma la colpa è soprattutto degli sprechi: basti pensare che ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo va nella spazzatura!
A rivelarlo è il quarto Forum internazionale promosso da Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn), dove Lester Brown, il fondatore e presidente di Earth Policy Institute (Usa), ha tenuto ad evidenziare che il 70% dell’acqua presente sul pianeta viene utilizzato non per bere, ma per produrre.
“Sono “otti-pessimista” – ha dichiarato Claude Fischler, direttore della ricerca Cnrs nonche’ direttore del centro francese Edgar Morin – temo il peggio, spero il meglio. Va bene la diffusione di cibo a basso prezzo, ma se fatto solo di calorie vuote non va bene. E sono i più poveri e il Paesi in via di sviluppo quelli che, con maggiore obesità, consumano sacchetti di prodotti pronti, pasti grassi e poco salutari. Un tempo la gente mangiava solo in gruppo e il pasto era un rito conviviale. Oggi negli Stati Uniti, secondo Times News, il 70% dei pasti vengono consumati da soli, e questo è un fattore di ansia, velocizza l’atto del mangiare ma alimenta gli sprechi”.
“Molti cibi lavorati – ha aggiunto Antonia Trichopoulou, direttore Oms e nutrizionista presso l’università’ di Atene – sono eccessivamente lavorati e la produzione non e’ locale; anche la qualità nutritiva non è ottimale. Utilizzare nuove tecnologie va benissimo per costruire una filiera agroalimentare sostenibile, ma andrebbe consumata una quota pari al 20%-30% di cibo locale per non perdere la biodiversità“.
Secondo quanto emerge dallo studio presentato al forum quindi, i fenomeni dell’obesità e dello spreco di cibo sono strettamente legati ai ritmi veloci della vita moderna, che induce a mangiare prodotti pronti, confezionati o precotti, di scarso valore nutritivo e spesso di pessima qualità.
Come risolvere il problema? Il quesito è naturalmente complesso, ma una sana educazione civica e alimentare, in grado di insegnare ai più piccoli l’origine del cibo e la sua importanza, unita alla riscoperta di alcuni valori tradizionali, come il pasto consumato tutti insieme attorno ad un tavolo (specie a cena quando si ha tempo), consentirebbe – con tutta probabilità – di invertire la rotta e ridimensionare la gravità degli scenari futuri.
In breve, basta voltarsi e fare un passo indietro nel tempo, per riscoprire il valore del cibo, non solo come alimento in sé, ma anche come prodotto del lavoro dell’uomo e della natura, elemento di condivisione, partecipazione e appartenenza ad un territorio e alle sue tipicità.
Verdiana Amorosi