Esiste una correlazione strettissima tra il cibo non consumato che ogni giorno finisce nella pattumiera e l'acqua che automaticamente viene sprecata. Riparte da qui, dall'acqua, la battaglia di sensibilizzazione del Prof. Andrea Segré e del gruppo di lavoro Last Minute Market , che nel 2010 inaugurò il progetto pluriennale "Un anno contro lo spreco" giunto nelle sale della Comunità Europea e diventato la base per un progetto di legge. Esce, proprio in questi giorni, "Il libro blu dello spreco in Italia: l'acqua" di Andrea Segré e Luca Falasconi (Collana tascabili, Edizioni Ambiente, pag 304).
Lo sapevate che sprecare una tazzina di caffè significa consumare inutilmente 140 litri di acqua? E che invece, buttare 200 grammi di carne corrisponde a 3.000 litri di acqua gettati al vento?
Esiste una correlazione strettissima tra il cibo non consumato che ogni giorno finisce nella pattumiera e l’acqua che automaticamente viene sprecata. Riparte da qui, dall’acqua, la battaglia di sensibilizzazione del Prof. Andrea Segré e del gruppo di lavoro Last Minute Market , che nel 2010 inaugurò il progetto pluriennale “Un anno contro lo spreco” giunto nelle sale della Comunità Europea e diventato la base per un progetto di legge. Esce, proprio in questi giorni, “Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua” di Andrea Segré e Luca Falasconi (Collana tascabili, Edizioni Ambiente, pag 304). Un testo che fornisce un quadro puntuale sulla situazione idrica mondiale e nazionale, sulla natura dei consumi e degli sprechi e sulle possibili soluzioni a livello agricolo e individuale che possono essere messe in atto.
“Solo nel 2010 in Italia sono rimasti in campo poco più di 15 milioni di quintali di prodotti agricoli per la cui produzione sono stati utilizzati quasi 1,2 miliardi di metri cubi di acqua” dice Andrea Segré nella prefazione. È come se l’acqua contenuta dal Lago d’Iseo fosse evaporata via. Anche se non ne abbiamo vista neanche una goccia.
Perché esiste un’acqua invisibile che consumiamo ogni giorno in quantità ingenti. È l’acqua virtuale, cioè la quantità d’acqua utilizzata direttamente e indirettamente durante tutto il processo produttivo per fabbricare un bene, anche alimentare. È fatta di acqua di superficie, quella che riempie laghi, fiumi e falde acquifere, e di acqua piovana, quella non irrigua che supporta la crescita della vegetazione e della biodiversità.
Le particolari condizioni climatiche che stiamo attraversando (piogge tropicali unite a periodi di siccità), specie nel nostro Paese, mettono a rischio le coltivazioni in diverse regioni come Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna dove per irrigare si va a sfruttare le falde sotterranee, con esito deflagrante sull’impatto ambientale. Cosa fare? “La nostra alimentazione – dice Luca Falasconi – può influire sulla previsione delle risorse idriche; una dieta vegetariana ha un minor impatto sulle risorse idriche di quanto ne ha una a base di carne.” Così come le nostre scelte al supermercato. L’impronta idrica di un bene dipende anche dal luogo di produzione e di conseguenza dal clima e dalle tecniche agricole o produttive impiegate. Comparando le produzioni italiane, spagnole e marocchine di arance si scopre per esempio che il nostro paese è quello dove minore è il consumo di acqua necessario per la crescita del frutto e quindi meno impattante è la coltivazione.
Un cambio di rotta non è richiesto solo al consumatore finale (che a partire dal 2000 ha compiuto già ampi sforzi per diminuire progressivamente il suo fabbisogno quotidiano. La componente che incide maggiormente sull’uso dell’acqua è l’agricoltura: 40% delle acque dolci finisce nei campi, contro un 8% destinata ai rubinetti domestici. E delle acque erogate a fini agricoli, le perdite accumulate lungo il percorso da attraversare tra la fonte idrica e la sua destinazione costituisce il 32% dell’acqua immessa. Il dato corrisponde a uno dei peggiori tra i paesi sviluppati (che si attestano tra il 15 e il 20%) ed è motivato da una scarsa efficienza gestionale del sistema idrico nazionale a cui le amministrazioni dovrebbero essere chiamate a dare risposta.
Certo che se gli agricoltori si munissero anche di bacini interni di approviggionamento dell’acqua piovana, potrebbero richiederne di meno all’acquedotto “bucato” e “sprecone” e garantirsi anche un bel risparmio economico. E se poi, virassero verso modalità di irrigazione più efficienti come la microirrigazione o il metodo a pressione, a quel punto si calcola che il risparmio potrebbe essere consistente.
Il problema dell’acqua sconta tuttavia una percezione distorta che appartiene a tutti quei beni che vengono riconosciuti come comuni e che il libro ricorda: “la possibilità di accedere all’acqua in maniera equa e più economica non ci dà il diritto di sprecarla“. Questo monito diventa ancora più imperante e attuale alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale che ha confermato l’assenza della privatizzazione di acqua e dei servizi pubblici locali salvando così il risultato del referendum dello scorso anno.
Pamela Pelatelli
Leggi anche:
– Sprechi zero: inizia la lotta a favore dell’acqua di last minute market