Cascina Cuccagna: come si restituisce un luogo alla sua citta’

Un piccolo arco segna il confine tra la Milano dei condomini e dei supermercati e quella della Cascina Cuccagna: 4000 mq di mattoncini e prato, chiacchiericcio e bicchieri di vino, orti e biciclette.

Un piccolo arco segna il confine tra la Milano dei condomini e dei supermercati e quella della Cascina Cuccagna: 4000 mq di mattoncini e prato, chiacchiericcio e bicchieri di vino, orti e biciclette.

Porta Romana (zona sud di Milano) e il traffico di Corso Lodi sono alle spalle, la città brulica tutt’attorno, ma dentro le mura basse di quest’antica dimora risalente al Settecento, vigono altre regole. Fino a quindici anni fa questo era solo uno dei tanti luoghi abbandonati che incastonano le città: a confermarlo c’era il solito ammasso di elettrodomestici rotti, di reti arrugginite e amianto, insieme con qualche famiglia abusiva in cerca di un riparo. Per i vecchi del quartiere qui ci lavoravano gli artigiani, ci si veniva a fare l’orto e soprattutto c’era l’osteria dove si andava a mangiare qualcosa di buono, a qualsiasi ora della notte.

La Cascina Cuccagna è la più centrale tra le cinquantanove cascine che incoronano la cintura milanese. Fino a qualche decennio fa rappresentava l’avamposto della cultura contadina dentro l’urbe, poi l’incuria e il degrado le hanno fatto perdere anche i connotati architettonici che potevano ricordarne le origini.

Ci sono voluti tre lustri e un nucleo di agguerriti cinquantenni a restituirle la sua anima e la sua funzione all’interno del quartiere, ma soprattutto dentro il tessuto cittadino. Sergio Bonriposi è tra i fondatori della cooperativa che nel 1998 si mise in testa di acquisire la cascina dal demanio pubblico per riabilitarla. Da sei anni è presidente dell’Associazione Consorzio Cantiere Cuccagna a sua volta composta da una rete di associazioni locali come Terre di Mezzo, Esterni, Smemoranda, Circom, Diapason, Comunità Progetto, Farsi Prossimo, CdiILE e la stessa cooperativa Cuccagna.

Cascina Cuccagna 2

Eravamo stanchi di vivere in una città che non sembrava più una città tanto aveva perso i suoi luoghi di incontro e di condivisione, così ci siamo messi in testa che l’unico modo che avevamo per fare qualcosa era ripartire dalla società stessa, cioè dalle nostre forze” dice a greenMe.it.

Inizia così l’iter civile e burocratico: nel giro di un mese nel quartiere vengono raccolte quattro mila firme e tante pacche sulle spalle, qualche in bocca al lupo e diverse sopracciglia alzate. Non ci sono appoggi politici a far da garante e molti pensano che sia solo tempo sprecato. Nel 2005 il comune di Milano apre un bando per l’assegnazione dello spazio. Nel 2006 viene firmato il contratto per la concessione ventennale con obbligo di restauro conservativo. Nel 2007 iniziano ad arrivare i primi finanziamenti. Si fanno avanti diverse fondazioni bancarie tra cui Fondazione Cariplo e Banca Popolare di Milano, alcune aziende come Mapei e Novamont, ma soprattutto un numero indecifrato di milanesi. Alla fine della raccolta, dei tre milioni di euro necessari, duecentocinquanta mila provengono dalle tasche dei vicini di casa.

È stato un contributo molto significativo, specie perché veniva da quella stessa gente che fino a poco prima ci aveva ripetuto che sarebbe stato un bel progetto ma non ci saremmo mai riusciti” continua il sign. Bonriposi. Dopo quindici anni di battaglie, si toglie qualche sassolino dalla scarpa. “In questo Paese non c’è una vera cultura della partecipazione, in genere si sta a guardare per poi, sospettosi, aderire ma solo a cose fatte. Per noi è stato letteralmente così: la gente osservava i cambiamenti avvenire dalla finestra di casa” racconta.

In due anni i lavori di restauro hanno restituito la cascina alla sua estetica originaria: un attento lavoro di recupero architettonico è stato integrato alla scelta di materiali e soluzioni che rispettassero le esigenze di risparmio energetico e sostenibilità dello stabile. Uno dei primi insegnamenti che la Cascina Cuccagna lascia, a detta del suo presidente, è proprio che restaurare invece che ricostruire conviene e che è possibile far dialogare i vincoli architettonici con quelli dell’efficienza. La cascina per esempio ha adottato un sistema di scambio di calore con la falda che ha consentito di non installare una classica caldaia a gas o metano.

Cascina Cuccagna 1

L’obiettivo del progetto tuttavia è ben più ampio e complesso: ricreare un ponte tra città e campagna restituendo alla popolazione un luogo di educazione e promozione della cultura contadina.

A questo scopo hanno subito trovato accoglienza i piccoli agricoltori dell’hinterland milanese che vendono qui frutta e verdura ma anche formaggi, carni, vino, olio e marmellate. Ha fatto seguito Coldiretti, che all’interno della Cascina ha deciso di aprire uno dei primi negozi appartenenti alla catena per la distribuzione Bottega Amica attraverso la quale vendere i prodotti dei propri associati, iniziando così un’attività concorrenziale a quella della classica distribuzione. Da qualche settimana ha inaugurato poi il ristorante “Un posto a Milano“, una piola decisamente chic con menù ricercato ma a base di cibo di stagione e di provenienza locale.

Sta per essere attivo anche un Ostello che accoglierà studenti e turisti di passaggio in cerca di una Milano diversa dal solito.

C’è un obiettivo ancora più ambizioso che ci preme raggiungere: attivare un processo di abilitazione nelle persone, affinché possano vivere lo spazio in modo attivo e auto-organizzato.” A questo servono le 60 stanze messe a disposizione per corsi, incontri e momenti di intrattenimento che chiunque può affittare a basso prezzo.

Per il momento la Milano degli happy hour, dei sushi bar e dei lounge ha risposto decisamente bene alla proposta di quei dodici ormai sulla soglia dei sessanta che fecero l’impresa. Il sig. Bonriposi ne resta saldamente al comando e quando, concludendo la telefonata, gli chiedo come si fa a mettere insieme le idee di tutti, in un paese che fa della frammentazione la sua firma, rimane in silenzio per qualche secondo poi risponde serafico: “stiamo imparando“.

Pamela Pelatelli

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