La carica dei petrolieri contro la Direttiva che aiuta il clima

La lobby del petrolio pare sia riuscita per ora a prendere aria. Con un colpo di scena dell'ultima ora, un funzionario UE, sotto anonimato, ha comunicato all'agenzia Reuters che la Direttiva europea sulla Qualità dei Carburanti (Fuel Quality Directive) non sarà sottoposta al voto degli Stati membri prima del 2013, dovendo procedere a un preventivo studio dell'impatto economico sul settore petrolifero.

La lobby del petrolio pare sia riuscita per ora a prendere aria. Con un colpo di scena dell’ultima ora, un funzionario UE, sotto anonimato, ha comunicato all’agenzia Reuters che la Direttiva europea sulla Qualità dei Carburanti (Fuel Quality Directive) non sarà sottoposta al voto degli Stati membri prima del 2013, dovendo procedere a un preventivo studio dell’impatto economico sul settore petrolifero.

I Ministri dell’ambiente europei avrebbero dovuto votare a giugno su questa importante Direttiva che ha l’obiettivo di ridurre l’impatto climatico dei carburanti destinati ai trasporti europei del 6% entro il 2020, agendo su tutto il ciclo produttivo dei carburanti, dall’estrazione alla raffinazione fino allo loro distribuzione.

Ma a quanto pare i tentativi di posticipare la decisione da parte della lobby del petrolio sembrano quindi essere andati a buon fine.

La proposta della Commissione imporrebbe che le emissioni durante tutto il ciclo di lavorazione dei carburanti fossero accuratamente misurabili. Spetterebbe proprio ai fornitori fornire i dati del tipo di fonte usata e della relativa intensità di carbonio.

Per farlo la Commissione propone dei ‘default values’, ovvero dei valori corrispondenti alle emissioni collegate ai diversi tipi di carburanti fossili, e in base a tali valori vengono calcolati gli obiettivi di riduzione delle compagnie petrolifere. I derivati dal petrolio non convenzionale, principalmente i prodotti delle dannosissime sabbie bituminose canadesi, hanno valori fino al 23% più alti rispetto al petrolio convenzionale.

Le compagnie petrolifere accusano la Direttiva di costare troppo e di danneggiare la competitività delle raffinerie europee. Ma secondo uno studio appena pubblicato dalla ONG Transport&Environment, nel breve periodo i costi aggiuntivi per le compagnie europee sarebbero bassi, proprio perché usano poco petrolio non convenzionale. Nel lungo periodo diventerebbero alti solamente se la quota di petrolio non convenzionale aumentasse.

Ed è proprio qui che risiede lo scontro. Il maggiore paese contrario a questa direttiva è proprio il Canada, perché spera di poter aumentare nei prossimi anni le esportazioni in Europa del petrolio dalle Tar Sands, le sabbie bituminose canadesi.

Non è un mistero che il petrolio delle Tar Sands, oltre a essere una tra le maggiori cause dei cambiamenti climatici, sia uno dei punti chiave dell’accordo commerciale tra Europa e Canada, il CETA, e che pertanto la Direttiva sulla qualità dei carburanti sia stata messa sul piatto delle contrattazioni tra Europa e Canada.

Il Canada non è l’unico a osteggiare questa normativa. Tra i paesi che hanno votato contro la Direttiva lo scorso febbraio c’è anche l’Italia. Ed è proprio una proposta italiana quella di chiedere che i costi del reporting vengano sostenuti direttamente dalla Commissione europea e non dalle compagnie petrolifere, meccanismo che sarebbe contrario ai principi di base della Legge ambientale europea del Trattato di Lisbona, primo tra tutti ‘chi inquina paga’.

Una delle argomentazioni attraverso le quali i petrolieri ritengono di voler ritardare la discussione della normativa è proprio quello dei costi del reporting. Tale tipo di misurazione costerebbe, a dire di Europia, l’associazione europea dei petrolieri, circa 1 dollaro al barile. Il che porterebbe alcune raffinerie europee addirittura a dover chiudere.

Ma anche su questo punto, il rapporto di Transport and Environment fa chiarezza: i costi aggiuntivi per le compagnie sarebbero molto bassi: tra 0,8 e 1,6 centesimi di euro per barile di petrolio. Il che si tradurrebbe in 0,005 € di euro per ogni pieno di benzina. Per capirci, 50 centesimi ogni 100 pieni di benzina. Un cifra veramente trascurabile anche per i consumatori finali.

Soprattutto se confrontata con l‘importanza del risultato ottenibile. I carburanti fossili rappresentano il 95% dell’attuale consumo europeo, ma proprio sull’impatto climatico di questi ultimi non esiste alcuna reportistica ufficiale (mentre esiste ad esempio per i biocarburanti).

Poter misurare alla fonte qual è il reale impatto climatico dei carburanti importati, raffinati e venduti in Europa sarebbe un cruciale passo in avanti nel contributo europeo alla lotta ai cambiamenti climatici.

Andrea Lepore

Leggi anche: Sabbie bituminose: l’Italia dalla parte del petrolio più sporco vota contro la proposta UE

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