Greenpeace con Xena bloccano la piattaforma Shell diretta verso l’Artico

La Shell vuole trivellare l'Artico alla ricerca di petrolio e a niente sono serviti i vari appelli e la campagna di boicottaggio che si sta diffondendo in tutto il mondo. A qualcosa, invece, è valsa l'azione compiuta questa mattina in Nuova Zelanda da Greenpeace che ha impedito la partenza di una piattaforma petrolifera della compagnia diretta in Alaska

La alla ricerca di petrolio e a niente sono serviti i vari appelli e la che si sta diffondendo in tutto il mondo. A qualcosa, invece, è valsa l’azione compiuta questa mattina in Nuova Zelanda da Greenpeace che ha impedito la partenza di una piattaforma petrolifera della compagnia diretta in Alaska

Il gruppo di attivisti di Greenpeace Nuova Zelanda, accompagnati anche da Lucy Lawless, Xena la principessa guerriera delle serie TV, è salito sulla nave Noble Discoverer in partenza dal porto di Taranki, scalando la torre di trivellazione equipaggiata con l’intenzione di resistere a oltranza e impedire così alla nave di raggiungere il mar di Chukchi dove sono in programma le attività di trivellazione per la ricerca di petrolio.

Siamo entrati in azione per fermare la Shell e impedirle di perforare in Artico, dove uno sversamento di petrolio, impossibile da contenere, distruggerebbe un ecosistema fragilissimo – afferma Nathan Argent di Greenpeace Nuova Zelanda – La Shell deve lasciare la Noble Discoverer in porto; altrimenti l’Alaska rischierebbe una catastrofe peggiore di quella della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico“.

Come ricorda Greenpeace, “La Shell è la prima grande compagnia petrolifera a fare delle esplorazioni in Artico la sua principale strategia industriale. Se la Noble Discoverer dovesse trovare del petrolio, altri colossi petroliferi accelererebbero i loro piani multimiliardari di trivellazione in quei mari, dando il via a una sfrenata corsa all’oro nero del Polo Nord“.

Ma cosa succederebbe in caso di sversamento in un ecosistema così fragile come quello dell’Artico?

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I piani di emergenza per tale sventurata ipotesi, a quanto pare, sono stati approvati proprio pochi giorni fa dal Bureau of Safety and Environmental Enforcement americano, nonostante prevedano tecniche e modalità di intervento che non sono mai state testate sul campo, come ammesso dalla stessa Shell.

Anche perché stiamo parlando di una location dalle temperature assai rigide e dalle condizioni metereologiche estreme, lontana dai siti da cui potrebbero partire aiuti e supporto logistico. Un incidente in queste condizioni si rivelerebbe con molta probabilità un danno impossibile da ripulire e arginare in quanto, come fatto notare anche da un alto funzionario di una compagnia canadese specializzata in interventi di bonifica, “a oggi non esiste soluzione o metodo capace di recuperare petrolio sversato nell’Artico”.

Il tutto per cosa? Dalle stime risulta che le riserve in Artico sarebbero sufficienti per soddisfare appena 3 anni degli attuali consumi globali di petrolio. Il gioco vale davvero la candela? Per la Shell di sicuro sì.

Compagnie coma la Shell approfittano dello sciogliersi dei ghiacci artici, causato dall’effetto serra, per sfruttare quelle fonti fossili che sono all’origine del caos climatico globale” – ricorda Andrea Boraschi, responsabile campagna Energia e Clima di GreenpeaceItalia.

Dobbiamo ridurre la dipendenza dal petrolio anche per proteggere i mari italiani, continuamente minacciati dalla lobby dell’oro nero. La stessa Shell ha da tempo progetti di ricerca nel canale di Sicilia [1]. Un disastro nel Mediterraneo avrebbe conseguenze devastanti tanto da un punto di vista ambientale quanto economico, con impatti incalcolabili sulla pesca e sul turismo” – conclude Boraschi.

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