Ci risiamo: una nuova macchia di petrolio sta devastando gli oceani e in particolare la costa nigeriana del Golfo di Guinea, a circa 75 miglia al largo del Delta del Niger. La causa risiede nella rottura di un impianto della Shell, avvenuta sette giorni fa, e secondo le stime si tratterebbe della marea nera più grave registrata nella zona.
Ci risiamo: una nuova macchia di petrolio sta devastando gli oceani e in particolare la costa nigeriana del Golfo di Guinea, a circa 75 miglia al largo del Delta del Niger. La causa risiede nella rottura di un impianto della Shell, avvenuta sette giorni fa, e secondo le stime si tratterebbe della marea nera più grave registrata nella zona.
L’incidente, che secondo le cifre della Shell ha causato lo sversamento in mare di 40.000 barili di petrolio, è avvenuto il 20 dicembre scorso durante alcune operazioni di routine per il trasferimento del greggio da una piattaforma di stoccaggio offshore ad una petroliera. Durante una di queste fasi, qualcosa è andato storto: gli operai hanno registrato una fuga e i dirigenti della Shell Nigeria exploration and production company (Snepco), una delle filiali della multinazionale anglo-olandese in Nigeria, per tamponare ed evitare il peggio, hanno subito ordinato la chiusura del flusso di petrolio.
Il responsabile di Shell Nigeria, Mutiu Sunmonu, ha fatto pubblicamente le sue scuse ed ha assicurato – attraverso un comunicato stampa – che la marea nera sarà bonificata rapidamente: “La Shell Petroleum Development Company della Nigeria Limited si impegna a ridurre l’impatto della perdita di petrolio sull’ambiente e a rimuovere il prima possibile il greggio già sversato in mare”.
Fortemente preoccupata, naturalmente, la popolazione locale, in particolare i pescatori del Delta del Niger, specie dopo la diffusione dei dati provenienti dalle immagini satellitari fornite dal monitoraggio indipendente Skytruth: la macchia nera si estende per una lunghezza di 70 km e attualmente occupa 923 km quadrati. Ciò vuol dire che la pesca dell’intera zona – e quindi di gran parte dell’economia locale che si basa sostanzialmente sull’attività ittica – rischia di essere compromessa in modo irreversibile.
Secondo la Shell invece, la marea mostrata dalle immagini satellitari si sta riducendo progressivamente: “da martedì, quando siamo venuti a conoscenza di questa perdita presso la nostra offshore di Bonga, sono stati fatti notevoli progressi per mitigarne le conseguenze. L’iridescenza si è assottigliata notevolmente grazie ad una combinazione di fattori naturali e all’applicazione disperdente, e in alcuni punti frazionata, che dovrebbero aiutare ulteriormente la sua dispersione. Un altro sviluppo significativo è che ieri pomeriggio abbiamo identificato la fonte dello sversamento in una falla”.
In realtà, proprio come avvenuto per la marea nera del Golfo del Messico, i dati forniti dalla Shell sembrerebbero troppo ottimisti. Secondo Nnimmo Bassey, direttore di Environmental rights action, una Ong con sede a Lagos, le cifre comunicate dalla multinazionale non sono credibili: “la Shell dice che si sono sversati 40.000 barili e che la produzione è stata chiusa, ma noi non ci fidiamo di loro, perché gli incidenti del passato dimostrano che l’azienda nasconde costantemente le quantità e gli effetti della sua negligenza. Abbiamo allertato i pescatori e le comunità costiere perché si guardino in giro. Questo si aggiunge semplicemente alla lista delle atrocità ambientali della Shell nel delta del Niger”.
Insomma, anche da quello che emerge dagli ultimi studi sull’inquinamento dell’Ogoniland, nel Delta del Niger, la posizione della Shell non è delle migliori e l’incidente del 20 dicembre è solo la punta dell’iceberg e alcuni ambientalisti sostengono che la Shell in 50 anni di produzione in Nigeria avrebbe versato in mare più di 550 milioni di galloni, un tasso paragonabili a un disastro della Exxon Valdez all’anno.
Negli ultimi anni infatti, la compagnia petrolifera ha provocato ingenti danni all’acqua, al suolo e all’aria e dovrà realizzare la più grande opera di bonifica mai attuata al mondo, che potrebbe richiedere 30 anni ed un miliardo di dollari. E sempre a suo carico c’è un altro sversamento avvenuto nel 2008, nella regione di Bodo, ma la compagnia deve ancora pagare i risarcimenti.
Ma non è tutto, perché la Shell attribuisce gran parte degli incidenti agli attacchi dei guerriglieri locali che cercano di sabotare le infrastrutture. In realtà, secondo quanto emerge dai dati delle ONG e dalle comunità del Delta, i guasti e i deterioramenti delle piattaforme petrolifere presenti nella zona sono molto più frequenti di quanto la multinazionale sia disposta ad ammettere…
Verdiana Amorosi
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