Una enorme rilascio di metano dai fondali della Siberia orientale è stato registrato da alcuni esperti russi. E il rischio che corriamo è davvero troppo alto
Bolle di metano sulla superficie del Mar Glaciale Artico. A scoprirlo un team di ricercatori russi, rimasti letteralmente a bocca aperta davanti ad una situazione così drammatica. Simili a fontane, le bolle di metano avvistate sono davvero temibili. Basti pensare che queest’ultimo è un 20 volte più pericoloso del biossido di carbonio.
Ma a stupire ancora di più gli esperti è stata la quanità di metano rilasciata, scoperta a seguito di una rilevazione dei fondali della piattaforma artica della Siberia orientale, al largo del nord della Russia partita 20 anni fa.
Igor Semiletov, dell’Accademia Russa delle Scienze, ha rivelato al quotidiano The Independent di non aver mai visto nulla di simile, un fenomeno con una portata e una forza tale proveniente dai fondali marini dell’artico.
“In precedenza abbiamo trovato piccole strutture di questo tipo ma misuravano solo qualche decina di metri di diametro. Questa è la prima volta che abbiamo trovato strutture continue infiltrazioni, così potenti, più di 1.000 metri di diametro. È incredibile” ha detto Semiletov. “Sono rimasto molto impressionato dalla vastità e dalla densità elevata dei pennacchi. In una zona relativamente piccola ne abbiamo trovati più di 100, ma su un’area più ampia ce ne potrebbero essere migliaia“.
Secondo gli esperti, ci sono centinaia di milioni di tonnellate di gas metano sotterrate sotto il permafrost artico, che si estende dalla terraferma al fondo del mare relativamente poco profondo dell’Artico. Una delle più grandi paure è che con la scomparsa del ghiaccio marino artico in estate e l’aumento repentino delle temperature in tutta la regione, possa improvviasamente rilasciare tale sostanza, pericolossissima per l’uomo. Già il permafrost siberiano si sta sciogliendo, e tale processo potrebbe subire un’ulteriore accelerazione per via dei cambiamenti climatici.
Lo scorso anno, la stessa équipe di ricercatori russi aveva reso noto uno studio secondo cui le emissioni di metano di questa regione erano state stimate attorno agli otto milioni di tonnellate annue. Cifra, questa, che sicuramente è sottostimata alla luce delle ultime scoperte.
Alla fine dell’estate, la nave di ricerca russa Academician Lavrentiev ha condotto una vasta indagine su una superficie di circa 10mila miglia quadrate nella acque al largo delle coste della Siberia orientale. Gli scienziati utilizzando quattro strumenti altamente sensibili, sia sismici che acustici, hanno monitorato le “fontane di metano” e i pennacchi sulla superficie del mare proveienti dai fondali.
“In una zona molto piccola, meno di 10.000 miglia quadrate, abbiamo contato più di 100 fontane, o strutture simili e bolle attraverso la colonna d’acqua iniettate direttamente nell’atmosfera dal fondo del mare” ha spiegato Semiletov. “Abbiamo effettuato controlli presso circa 115 punti stazionari”. Dopo aver scoperto che tali emissioni erano andate a finire direttamente nell’atmosfera, i ricercator i hanno notato che la loro concentrazione era di un centinaio di volte superiore al normale.
La portata del fenomeno forse non è semplice da far comprendere, ma basta solo considerare che circa 200 milioni di anni fa, alla fine del Triassico una cospicua emissione di metano provocò una estinzione di massa. A cosa stiamo andando incontro?
Francesca Mancuso