Pare essere giunta quasi alla fine l'avventura delle caraffe filtranti, già accusate da Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, di non svolgere le funzioni promesse sulla depurazione dell'acqua del rubinetto. Ma se all'inizio la vicenda poteva far sorgere dubbi sulle reali motivazioni della denuncia di Mineracqua che, riunendo tutti i produttori di acqua in bottiglia, aveva chiari interessi economici per far sì che questi strumenti sparissero dal commercio, ora arrivano invece precise conferme scientifiche con il deposito in Procura di una perizia dei Nas.
Pare essere giunta quasi alla fine l’avventura delle caraffe filtranti, già accusate da Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, di non svolgere le funzioni promesse sulla depurazione dell’acqua del rubinetto. Ma se all’inizio la vicenda poteva far sorgere dubbi sulle reali motivazioni della denuncia di Mineracqua che, riunendo tutti i produttori di acqua in bottiglia, aveva chiari interessi economici per far sì che questi strumenti sparissero dal commercio, ora arrivano invece precise conferme scientifiche con il deposito in Procura di una perizia dei Nas.
Dalle analisi svolte dal nucleo antisofisticazione emerge infatti, confrontando l’acqua prima e dopo il passaggio nelle brocche, che queste non alterano minimamente le proprietà dell’acqua, né ne migliorano la qualità, come invece viene fatto credere dagli spot pubblicitari. I sistemi utilizzati dalle caraffe non inciderebbero, secondo i risultati dei Nas, sulla durezza dell’acqua, né filtrerebbero le sostanze rendendo l’acqua qualitativamente migliore.
E anzi, cosa ancor più grave, potrebbero addirittura essere pericolose: in base a quanto riscontrato da una delle analisi, l’acqua immessa nelle caraffe andrebbe bevuta subito perché ci sarebbe il rischio che, lasciandola depositare, possano svilupparsi dal filtro alcuni tipi di batteri, come i coliformi. Sempre il filtro, inoltre, invece che depurare l’acqua pare la privi di alcuni elementi nutritivi essenziali, come il calcio e alcuni sali minerali.
Una vera e propria truffa insomma, se si pensa a quanto promesso nelle pubblicità delle caraffe incriminate. Per questo il Codacons, appena venuto a conoscenza dei risultati delle indagini dei Nas, ha avviato uno studio per capire se sia fattibile una class action per far ottenere a chi ha acquistato le caraffe un rimborso per la cifra spesa. “Se infatti il consumatore acquista un prodotto che non solo non mantiene le promesse contenute nelle pubblicità, ma addirittura non svolge nemmeno la funzione primaria per cui è nato (in questo caso il miglioramento qualitativo delle acque) – si legge sul sito del Codacons – il danno economico da lui subito è evidente. Danno che è identico per tutti i soggetti che hanno acquistato il bene in questione, e che può essere risarcito attraverso una azione collettiva da intentare contro le ditte produttrici delle caraffe“.
Insomma, continua ad essere più sicuro bere l’acqua così come esce fuori nelle nostre case, considerando che gli acquedotti comunali sono controllati in modo costante e assiduo. Se dovesse risultare vero che le caraffe filtranti non servono a nulla, questo non deve comunque impedirci di continuare a scegliere l’acqua del rubinetto al posto di quella imbottigliata che, ricordiamo, è fonte di inquinamento sia per la plastica utilizzata che per le emissioni causate dal suo trasporto.
Eleonora Cresci