E' stato reso noto da Legambiente il Rapporto Cave 2011. Secondo l'associazione, l'Italia è ancora molto indietro rispetto all'Europa. E per il futuro occorre puntare sull'innovazione, riducendo il prelievo di materiali e puntando sul recupero degli inerti provenienti dall'edilizia
Riutilizzare materiali di scarto provenienti dall’edilizia invece dei prelievi dalle cave. È questo l’auspicio di Legambiente che ha diffuso il Rapporto Cave 2011. E il nostro paese, ancora una volta, si trova indietro su questo fronte rispetto ad altri stati europei. E mentre in Germania è ormai diffuso l’utilizzo di materiali provenienti dal riciclo degli inerti edili per infrastrutture e costruzioni, toccando quota 86,3%, in Italia siamo ancora al 10% nell’utilizzo dei materiali riciclati.
Fanno molto meglio di noi anche l’Olanda a quota 90%, il Belgio (87%) e la Francia che in appena 10 anni è passata dal 15% al 62,3%. Se ci si muove a favore di tale pratica, evidentemente esistono dei vantaggi. Basti considerare che le prestazioni dei materiali estratti dalle cave e quelli derivanti dal riciclo degli inerti di scarto sono pressoché identiche.
Secondo Legambiente, siamo molto indietro. In Italia infatti vige ancora un Regio Decreto del 1927 che a regola l’attività estrattiva. Dal 1977, il compito passo poi nelle mani delle Regioni. Queste ultime non vi prestano la dovuta attenzione
Le cave in Italia. Dal Rapporto Cave 2011 emerge che nel nostro paese vi sono ancora 5.736 cave attive e 13.016 dismesse. Tale cifra si riferisce comunque alle regioni dove esiste un monitoraggio. A queste ultime si devono aggiungere quelle abbandonate in Calabria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia, che porterebbero il dato ben oltre 15 mila unità. Ogni anno inoltre vengono estratti 90 milioni di metri cubi estratti tra sabbia e ghiaia, com’è accaduto nel 2010, ma anche 41,7 milioni di metri cubi di calcare utilizzati nel ciclo del cemento e 12 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. Solo considerando sabbia e ghiaia, si parla del 59% del totale tra tutti i materiali cavati in Italia.
Dove. Lombardia, Lazio e Piemonte da sole raggiungono il 50% del totale estratto ogni anno, con 43 milioni di metri cubi. Tra le Regioni che presentano un maggior numero di aree destinate alle attività estrattive vanno considerate complessivamente la Sicilia, il Veneto e la Lombardia, tutte con più di 500 cave attive all’interno del proprio territorio. Seguono Piemonte (472), Toscana (403), Lazio (393) e Campania (376). In quest’ultima Regione, inoltre occorre tener presente chela stima effettuata sulla quantità di cave abusive, circa 180, è da ritenere ancora incompleta e purtroppo a ribasso, in particolare nei casi delle province di Napoli e Caserta. Agli ultimi posti per cave in funzione, tutte sotto i 100 siti, si trovano le Regioni con minore estensione: Liguria (98 cave), Friuli Venezia Giulia (67), Molise (56), Basilicata (51) e Valle d’Aosta con 39 cave attive.
E per le cave dimesse, sei sono le aree maggiormente a rischio: Lombardia, Veneto, Campania, Provincia di Trento, Marche e Toscana, dove troviamo oltre 1.000 cave, e addirittura in Lombardia si contano 2.800 cave dimesse o abbandonate.
Noi e l’Europa. In controtendenza rispetto a gran parte dei paesi europei, dove la crisi economica ha fatto letteralmente crollare il consumo di cemento nel 2010, noi deteniamo un vero e proprio primato continentale, con oltre 34 milioni di tonnellate di cemento consumati in un periodo di crisi, per una media di 565 chili per ogni cittadino a fronte di una media europea di 404. Ma da cosa deriva un consumo così elevato di cemento? Sicuramente a farla da padrone è il numero di nuove case costruite in questi anni (oltre 260mila tra abitazioni e fabbricati non residenziali costruiti nel 2009) e il largo uso che viene fatto del cemento nell’edilizia italiana, anche per i ritardi nella innovazione tecnologica del settore. Segue poi l’un uso eccessivo nelle opere pubbliche spinto da un quadro normativo arretrato e governato, secondo Legambiente, da evidenti interessi economici oltre che da un ritardo culturale della progettazione rispetto agli altri Paesi europei che ne utilizzano molto meno a parità (o maggiori) interventi realizzati.
“Dopo 85 anni serve finalmente una riforma del settore che ripristini regole, controlli e sanzioni – ha dichiarato Edoardo Zanchini, responsabile Urbanistica di Legambiente – e che adegui i vergognosi canoni, visto l’impatto che le cave hanno sui territori. Un ritorno alla legalità che vale in particolare nelle Regioni del Mezzogiorno dove l’attività di cava è assurdamente gratuita e dove il peso delle Ecomafie nell’intero ciclo del cemento è decisamente inquietante”.
A tal fine Legambiente ha riassunto alcune delle soluzioni da attuare per risolvere o quantomeno limitare il problema:
- Promuovere l’innovazione nel settore riducendo il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio
- Ridurre il prelievo da cava puntando sul recupero degli inerti provenienti dall’edilizia
- Rafforzare la tutela del territorio e il controllo dell’attività
- Aumentare i canoni di concessione
“L’innovazione è fondamentale – aggiunge Zanchini – a maggior ragione quando può avvenire in modo sostenibile come in questo settore dove il recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia può sostituire quelli di cava, come sta avvenendo in molti Paesi europei e che consente di avere molti più occupati e di risparmiare il paesaggio”.
Francesca Mancuso