Trash come rifiuto e Hardware come apparecchiatura elettronica. Trashware è il neologismo ideato per identificare l’attività di recupero e ri-funzionalizzazione di vecchi computer allo scopo di renderli di nuovo utilizzabili dalla comunità.
Trash come rifiuto e Hardware come apparecchiatura elettronica. Trashware è il neologismo ideato per identificare l’attività di recupero e ri-funzionalizzazione di vecchi computer allo scopo di renderli di nuovo utilizzabili dalla comunità.
Sono sempre più numerose le realtà che in Italia si occupano di prendere in consegna il materiale tecnologico in disuso proveniente da cittadini, aziende e amministrazioni per ricavarne risorse da mettere a disposizione di realtà associative, scuole o segmenti poveri della società. Il trashware si colloca in quel frangente che sta tra la presunta obsolescenza del computer e la sua reale usura. In mezzo c’è un tempo, a volte calcolato in 4/6 anni, in cui il computer è ancora capace di ottemperare alle sue funzioni in modo totalmente efficace. E se alcune componenti sono effettivamente guaste, le restanti possono comunque contribuire a comporre un terzo supporto, altrettanto valido e funzionante.
Buttare un computer in discarica ogni tre anni per comprarne uno più nuovo, più potente o più bello è un gesto dal notevole peso ambientale. Per realizzare un pc da 17 pollici sono necessari 240kg di carburante fossile, per smaltirlo serve l’intervento di un soggetto abilitato al trattamento dei RAEE. Dall’altro lato, le statistiche mostrano che se ogni europeo riuscisse a recuperare dalla rottamazione dei computer usati almeno 4kg di apparecchiature elettriche ed elettroniche all’anno, si risparmierebbero circa 120 milioni di gigajoule, pari a 2,8 milioni di tonnellate di petrolio ogni anno, con un risparmio energetico del 60-80% rispetto all’utilizzo di materia vergine.
Certo, Steve Jobs non avrebbe fatto la sua fortuna, se non avesse aggiornato i suoi splendidi prodotti con continue nuove versioni. E lo stesso si può dire di Hp, Dell o Acer. Tutte le aziende di computer tendono a mettere sul mercato nuovi oggetti, con minime differenze rispetto alla precedente versione. I consumatori sono spesso inconsapevoli del reale valore di ciò che comprano e fanno l’ulteriore errore di acquistare tecnologia dalle prestazioni fin troppo elevate per i propri usi effettivi.
“Il primo insegnamento che il trashware cerca di trasmettere è il valore delle cose: che nel mondo dei computer passa attraverso la separazione dell’hardware – la scatola – dalla tecnologia che contiene.” dice Michele Ferraudo, responsabile dell’Associazione OIL di Torino. “Dal nostro punto di vista, è necessario far comprendere che c’è una parte del computer che possiamo controllare, manipolare e gestire a nostro piacimento. Che non è necessario accettare tutto come se fosse una scatola chiusa”.
È chiaro che trashware è anche sinonimo di software libero. Un’espressione che ai più fa venire in mente stanze piene di “smanettoni” e che invece rappresenta una reale opportunità per avvicinare molte persone all’uso dei computer. I costi delle licenze sono, banalmente, uno dei motivi che ostacolano l’acquisto dei computer in realtà poco finanziate come le scuole o le associazioni per disabili. Il termine Linus allora perde il significato di “eroe della copertina” e assume quelli di una piattaforma in cui muoversi, fare, scrivere, studiare e creare.
“Convincere gli scettici non è facile: tutti credono che ciò che non è di proprietà universale sia necessariamente uno scarto” commenta Oscar del Progetto Radis di Asti. Lì, nella periferia fisica e a volte culturale del Paese, trasmettere certe idee non è facile. “Tutti sono disposti a donare i loro vecchi computer impolverati, pochi sono pronti a riceverli.” Per questo si sono ingegnati a cercare quelle realtà che avrebbero percepito un computer ricondizionato come un valore aggiunto. E le hanno individuate nelle scuole e nelle associazioni per disabili a cui sono stati forniti slot di computer muniti diapplicazioni spesso generate ad hoc sulla base delle esigenze di uso degli utenti.
A Cesena, è avvenuto quello che altrove definirebbero “il miracolo”. Le istituzioni locali, in prima persona, si sono fatte sostenitrici di un progetto di riconversione del materiale tecnologico. Aperto nel dicembre del 2010, trashwarecesena mette insieme un’associazione studentesca, l’Università di Bologna, il Comune di Cesena e la Hera, società locale per lo smaltimento dei rifiuti. Nei primi 9 mesi di vita sono stati consegnati 190 pc e ne sono stati donati 130. L’amministrazione comunale è stata la prima a fornire materiale dismesso ancora in buono stato e a promuovere la formazione di una rete con le associazioni e le scuole affinché potessero usufruire dei servizi di trashwarecesena. Un modello a cui anche i comuni vicini ora vorrebbero accedere.
Attorno all’Associazione Golem invece gira il progetto Trashflow che vede coinvolta l’area della Valdelsa impegnata a smaltire tramite recupero fino al 30% delle apparecchiature tecnologiche prodotte. Golem è stata la prima realtà italiana a pronunciare la parola trashware. Un laboratorio nel cuore di Empoli è il quartier generale di una piccola officina attorno alla quale si raccolgono due generazioni di volontari impegnati da anni a smontare e rimontare memorie RAM, tastiere, schede video e schede madri. I computer “quasi” nuovi passati per le loro mani sono ora in scuole africane, guatemalteche e pakistane ma anche in Abruzzo. L’accesso all’informazione e alle opportunità messe a disposizione da un computer arrivano ormai subito dopo le tende e i beni di prima necessità.
Pamela Pelatelli
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