Ancora un naufragio, ancora una falla, ancora una marea nera che minaccia un disastro ecologico. È quello che sta accadendo nell’Oceano sud-pacifico, a 22 chilometri dal porto di Tauranga, nell'isola del Nord della Nuova Zelanda , dove le squadre di soccorso stanno lavorando incessantemente per mettere in sicurezza la portacontainer di 236 metri Rena, incagliatasi sulla barriera corallina Astrolabe dal 5 ottobre, e svuotare le cisterne che continuano a gettare carburante in mare, originando una macchia già larga 5-6 chilometri.
Ancora un naufragio, ancora una falla, ancora una marea nera che minaccia un disastro ecologico. È quello che sta accadendo nell’Oceano sud-pacifico, a 22 chilometri dal porto di Tauranga, nell’isola del Nord della Nuova Zelanda , dove le squadre di soccorso stanno lavorando incessantemente per mettere in sicurezza la portacontainer di 236 metri Rena, incagliatasi sulla barriera corallina Astrolabe dal 5 ottobre, e svuotare le cisterne che continuano a gettare carburante in mare, originando una macchia già larga 5-6 chilometri.
A bordo ce n’erano 1700 tonnellate di petrolio e il possibile arrivo di una tempesta, con piogge intense e venti che possono raggiungere i 90 chilometri orari, annunciata per questa sera, potrebbe rendere la già critica situazione ancor peggiore.
Parte del carburante fuoriuscito dallo scafo fallato ha già raggiunto la costa, precisamente la spiaggia di Mount Maunganui, una località turistica della baia di Plenty, una delle più belle della Nuova Zelanda. “Stiamo seguendo con attenzione le previsioni del tempo e la struttura dello scafo – ha dichiarato a Radio New Zealand Bruce Anderson, uno dei responsabili del Maritime New Zealand, l’Autorità per la sicurezza delle persone e dell’ambiente in mare – c’è il rischio di grandi danni e non ci facciamo illusioni a riguardo. Per questo stiamo lavorando 24 ore su 24 per portare via il carburante”.
Sono infatti circa 250, fra specialisti e volontari accorsi da Australia, Gran Bretagna, Olanda e Singapore, le persone impegnate nelle operazioni di pompaggio, di raccolta e contenimento del greggio riversatosi in mare. Ma la Rena, cargo battente bandiera libica e di proprietà della compagnia di navigazione italiana Mediterranean Shipping Company, è inclinata di 12 gradi e ciò rende, oltre alle condizioni metereologiche avverse, le operazioni davvero difficili.
Gli armatori della nave non hanno dato ancora una spiegazione per l’incidente, ma assicurano di “collaborare pienamente con le autorità locali” per minimizzare il danno. “Difficile valutare danni e responsabilità –fa sapere il Governo- che verranno accertate da un’inchiesta”. Adesso la priorità è minimizzare l’impatto sulla costa e impedire che l’intero carico si riversi in mare. Ma è una lotta contro il tempo, quella per salvare un’area fino a pochi giorni fa incontaminata, che ospita una ricca fauna di pesci e uccelli marini, oltre a pinguini blu e foche.
“Affrontare una fuoriuscita di petrolio in mare è sempre molto complicato. Anche una lenta perdita di carburante come quella del “Rena” sta mettendo a dura prova la capacità di risposta della Nuova Zelanda -scrive oggi Greenpeace Italia sualla sua Pagina Facebook – Potrebbe essere un disastro per balenottere azzurre e delfini nella loro stagione di riproduzione, così come per numerose altre specie marine che vivono nella zona.
E i ricordi non possono che correre veloci all’esplosione della Deep Water Horizon, che ha causato la catastrofe marina più grande della storia, riempendo il mare del Golfo del Messico di oltre 500 mila tonnellate di petrolio. Quanto ancora dovremo subire prima di abbandonare definitivamente il greggio in favore delle risorse pulite e rinnovabili?
Roberta Ragni