Emergenza rifiuti a Napoli: la testimonianza diretta di chi vive e lavora nella “munnezza”

Sulla munnezza e su altri perché. Quando l’emergenza è una questione di pazienza...Siamo sull’orlo di un precipizio. Gente, qui davvero non si respira più. Non si vive, manca l’aria. L’ossigeno.

Sulla munnezza e su altri perché. Quando l’emergenza è una questione di pazienza…Siamo sull’orlo di un precipizio. Gente, qui davvero non si respira più. Non si vive, manca l’aria. L’ossigeno.

A occhio e croce sono arrivati a 15 i metri di munnezza che si vedono dal mio terrazzino al primo piano. Qui c’è una tenda degli indiani di Matteo, qualche sua palla e i cuscini colorati. Le nostre sdraio. Il tavolino dove potremmo fare colazione. I fiori. Le piante.

Ma resta tutto lì. Disabitato. Deserto. Lo chiudo il balcone. Esco giusto per pulire un po’, prendere qualcosa dalla cassapanca di legno che tanto ci piace e che Fabio ha rimesso a nuovo. Ma Matteo no, non va a giocare là fuori. Mai di pomeriggio, men che meno la sera, quando dopo una giornata di sole intenso, quel sole che il mondo ci invidia, cominciano le esalazioni. Emissioni senza volto di un nostro male cronico.

Pazienza, dico. Si risolverà, domenica ci sono le elezioni e speriamo in una volontà nuova. Non ci possono lasciare così, no. Siamo dei morti che camminano, generazioni future inesistenti, disastro ambientale.

Leader che promettono e promettono. Assessori che incolpano assessori. Candidati a sindaco che tracciano la mappa nera del non fatto e non detto dai predecessori. Sequestri, discariche chiuse, finanziamenti fantasma. Un manicomio. Ma qui ci siamo noi.

L’amiamo questa città? Bè, non credo. Nelle notti partenopee i roghi di rifiuti non si contano più, i cassonetti rovesciati, i sacchetti dappertutto. Una guerra silenziosa la nostra? Neanche. Non mi pare che incendiare tutto valga a qualcosa.
In fondo, ci siamo abituati a darci un pizzico sulla pancia e a dirci che la notte dovrà passare. Un’altra notte. Un’altra disperata notte in cui si sopravvive all’ennesima sciagura.

E poi, quando tutto sarà finito (perché finirà tutto, vero?), volete spiegarci una volta per tutte dove va la plastica, dove la carta, dove il vetro? Immobilizzateci su una sedia, imbavagliateci, direzionate le nostre mani stanche verso i cesti della spazzatura, verso le campane della differenziata. Quella vera, però.

Sogno un cittadino di questa città che non getti quelle carte a terra. Ci vuole tanto?

E domani, venerdì 13, Berlusconi arriva in città. Così finalmente qualcuno ci dice di chi sono le colpe. Giusto?

Foto e testi: Germana Carillo (dal balcone)

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