Gli ultimi studi in questo senso sono appena stati pubblicati nella rivista Nanotecnology dai ricercatori del MIT Ling Kong e Vladimir Bulović: i due hanno puntato tutto sul grafene - o meglio, sulla possibilità di utilizzare quest'ultimo come elettrodo nelle celle solari, ruolo svolto appunto dal silicio. Almeno fino al passaggio del testimone.
Il silicio, come tutti sanno, è alla base della stragrande maggioranza dei pannelli fotovoltaici prodotti fino ad ora, essendo un materiale relativamente economico, diffuso e dalle proprietà efficienti. È anche vero, d’altra parte, che il massiccio impiego degli ultimi decenni – soprattutto in altri settori della tecnologia elettronica – sta riducendo i giacimenti e aumentando ulteriormente il suo prezzo e c’è già chi parla di possibili alternative. Il silicio, inoltre, è sì efficiente, ma per gli standard sempre più elevati del mercato le sue proprietà sembrano già antiquate. In molti, dunque, si sono messi al lavoro in questi anni per trovare validi sostituti, magari organici, ma le ricerche sono ancora in corso.
Gli ultimi studi in questo senso sono appena stati pubblicati nella rivista Nanotecnology dai ricercatori del MIT Ling Kong e Vladimir Bulović: i due hanno puntato tutto sul grafene – o meglio, sulla possibilità di utilizzare quest’ultimo come elettrodo nellecelle solari, ruolo svolto appunto dal silicio. Almeno fino al passaggio del testimone. La scelta è caduta non a caso su questo materiale a base organica, poiché si tratta di un ottimo conduttore elettrico, e non solo. Il grafene è infatti trasparente, per cui, se utilizzato nelle celle solari, permetterebbe il passaggio della luce – si potrebbero quindi rivestire superfici oggigiorno off-limits, come i vetri delle finestre. Inoltre, la flessibilità che lo contraddistingue potrebbe rivelarsi molto utile in quel filone di pannelli fotovoltaici pieghevoli che si sta sviluppando in questi ultimissimi tempi. E non a caso è valso ai due scienziati che lo hanno “scoperto” il Premio Nobel 2010 per la Fisica.
Tuttavia, alcuni problemi non sono ancora stati risolti. Il principale è quello di far aderire il grafene alla superficie dei pannelli. Perché? In breve, perché le tecniche utilizzate finora per questo tipo di procedimento si basano sull’acqua. Ma il grafene teme l’acqua, e deve quindi essere applicato in altri modi. I ricercatori hanno ottenuto buoni risultati “dopando” le superfici di applicazione, spargendo cioè delle impurità che, tra l’altro, hanno aumentato la conduttività dei materiali.
Come ha dichiarato Peter Peumans, un professore di ingegneria elettrica della Stanford University (che non ha nulla a che fare con lo studio), le celle solari organiche diventeranno utili solo quando si svilupperà la tecnologia dell’elettrodo trasparente, che è sia più economico sia più resistente dei materiali tradizionali. Altre alternative sono ora oggetto di studio, ma questo lavoro [di Ling Kong e Vladimir Bulović] rappresenta un importante progresso nel rendere credibile il grafene come elemento per la fabbricazione di elettrodi trasparenti.
La strada, a quanto pare, è ancora lunga.
Roberto Zambon
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