bioplastiche_cavolo_2 Volete una nuova plastica, derivata dalle sostanze vegetali e che, quindi, rispetti l'ambiente? Col cavolo. E sì, perché è proprio da questo ortaggio che un gruppo di ricercatori del Brookhaven National Laboratory, centro di ricerca di Upton, nello Stato di New York, ha ricavato la materia prima per la produzione di bioplastiche.
Volete una nuova plastica, derivata dalle sostanze vegetali e che, quindi, rispetti l’ambiente? Col cavolo. E sì, perché è proprio da questo ortaggio che un gruppo di ricercatori del Brookhaven National Laboratory, centro di ricerca di Upton, nello Stato di New York, ha ricavato la materia prima per la produzione di bioplastiche.
In realtà, non proprio del “comune cavolo” (quello che viene servito in tavola in tre continenti) si tratta. Piuttosto, il vegetale ricavato è un suo “parente”, creato in laboratorio come organismo i cui semi contengono una particolare tipologia di acidi grassi che, secondo il team di Brookheaven, potrebbero servire come composto chimico d’origine per la produzione di sostanze plastiche.
Il principio dal quale i ricercatori statunitensi sono partiti è semplice: la maggior parte dei composti plastici derivano tuttora dal petrolio o dal carbone. Tuttavia, le bioplastiche derivate dalla trasformazione industriale di piante e vegetali stanno divenendo sempre più comuni. Molti recipienti, infatti, sono realizzati con acido polilattico; non solo: esiste una resina poliestere derivata dall’amido di mais (come ad esempio l’italianissimo Mater-Bi) o dalla canna da zucchero.
La questione, tuttavia, in questi casi si sposta sulle esigenze del fabbisogno alimentare, siccome si tratta di sostanze che, per essere ricavate, necessitano di una trasformazione di alimenti. Secondo i tecnici del Brookhaven National Laboratory, al contrario, occorre investire sulla ricerca verso prodotti naturali che non risultino dannosi per la salute delle persone, semplicemente perché non commestibili, seppure naturali.
I biologi dell’istituto newyorkese, per ottenere una pianta che producesse quantità di grassi acidi Omega-7 in grado di contribuire il più possibile alla produzione di bioplastiche, hanno lavorato sui geni di vegetali che nei propri semi contenessero già questi grassi, e li hanno combinati con l’Arabidopsis, una delle piante più utilizzate come modello di laboratorio.
Come seconda fase, sono stati creati dei nuovi enzimi artificiali. Il risultato è, dunque, una varietà di Arabidopsis i cui semi contengono grandi quantità di grassi acidi Omega-7.
L’olio di semi ricavato da questo vegetale, secondo i biologi americani, può essere impiegato come sostanza chimica rinnovabile per ottenere del polietilene. Secondo John Shanklin, responsabile tecnico del progetto, la ricerca ha dimostrato come sia possibile ricavare sufficienti quantità di sostanze plastiche dalla modifica genetica di piante da laboratorio.
Piergiorgio Pescarolo