Una nuova ricerca dimostra che i gabbiani tridattili trasportano nei loro corpi elevate concentrazioni di sostanze poli e perfluoroalchiliche, assorbite nei luoghi di svernamento a latitudini più basse. Questo fenomeno mette in luce il ruolo di biovettori degli uccelli marini e l'impatto globale dei PFAS
Li avevamo già trovati nell’acqua potabile, nel cibo e persino nel sangue umano. Ora, una nuova ricerca dimostra che i PFAS, sostanze sostanze poli e perfluoroalchiliche nocive e persistenti, sono arrivate a contaminare anche una delle aree più remote e incontaminate del Pianeta: l’Artico. E a trasportarli fin lassù sono proprio loro, i gabbiani tridattili, uccelli marini migratori che, ignari del pericolo, si trasformano in sentinelle inquinate.
Ma come è possibile? Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology svela il mistero. I gabbiani tridattili, dopo aver trascorso l’inverno in zone a latitudini più basse, dove i PFAS sono purtroppo abbondanti a causa dell’attività industriale e dello scarico di acque reflue, intraprendono la loro lunga migrazione verso i siti di nidificazione nell’Artico. E con loro, trasportano nel sangue e nelle piume elevate concentrazioni di queste sostanze inquinanti.
La ricerca, condotta da un team internazionale di scienziati guidato da Don-Jean Léandri-Breton della McGill University, ha analizzato i dati di tracciamento GPS e i campioni di sangue di 64 gabbiani tridattili che nidificano alle Svalbard, un arcipelago norvegese nell’Oceano Artico. I risultati sono allarmanti: i gabbiani che svernavano più a sud, in zone con maggiore presenza di inquinanti, presentavano livelli di PFAS significativamente più elevati, con concentrazioni fino a dieci volte superiori rispetto a quelli che svernavano più a nord.
“Questi uccelli agiscono come veri e propri biovettori”, spiega Léandri-Breton. “Trasportano i PFAS dalle aree di svernamento, dove la contaminazione è maggiore, fino all’Artico, un ecosistema fragile e vulnerabile”. Questo fenomeno, definito “migrazione di inquinanti”, non è nuovo per la scienza, ma lo studio sui gabbiani tridattili fornisce nuove prove sull’estensione del problema e sul ruolo degli uccelli marini nella diffusione globale dei PFAS.
Ma quali sono le conseguenze di questo fenomeno? I PFAS, una volta rilasciati nell’ambiente artico attraverso gli escrementi e le uova dei gabbiani, possono contaminare la catena alimentare, mettendo a rischio la salute di volpi artiche, girifalchi, orsi polari e di tutte le specie che si nutrono di questi uccelli o delle loro uova. “I PFAS si accumulano negli organismi viventi, e la loro concentrazione aumenta man mano che si sale lungo la catena alimentare“, precisa Léandri-Breton. “Questo significa che i predatori apicali, come gli orsi polari, sono particolarmente a rischio”.
Ma non è tutto. I PFAS sono noti per i loro effetti negativi sulla salute umana e animale. Possono interferire con il sistema endocrino, alterando la produzione di ormoni, e possono compromettere il sistema immunitario, rendendo gli organismi più vulnerabili alle malattie. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato un legame tra l’esposizione ai PFAS e l’insorgenza di tumori.
Questa scoperta ci lancia un segnale di allarme. È fondamentale adottare misure urgenti per ridurre l’utilizzo e il rilascio di PFAS nell’ambiente. “Dobbiamo limitare l’uso di queste sostanze chimiche nei prodotti di consumo e industriali”, afferma Léandri-Breton. “E dobbiamo investire in tecnologie innovative per la rimozione dei PFAS dalle acque reflue e dai siti contaminati”.
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