Fa discutere il Decreto “contaminazioni” cui è al lavoro il Governo: per l’agricoltura biologica, si prevedono limiti di tolleranza più elevati per i residui accidentali. Un paradosso che potrebbe inclinare le sorti del bio
Si chiama Decreto “Contaminazioni” e non piace a molti attori della filiera del biologico italiano (ma non a tutti). È il provvedimento che il ministro Lollobrigida vorrebbe adottare per mettere in campo misure volte a “evitare la presenza involontaria di sostanze non ammesse nella produzione biologica”.
Ma di cosa si tratta? E perché potrebbe essere un colpo fatale per la nostra agricoltura biologica?
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In buona sostanza, con questo decreto il Ministero mira da un lato a una tolleranza zero per i pesticidi nei cibi biologici, dall’altro concede tolleranza a quelle che sono contaminazioni accidentali più marcate (maggiori di 0,01 mg/kg). Ma vediamo nello specifico.
Cosa prevede il Decreto “contaminazioni”
Nella bozza del Decreto ministeriale “recante disposizioni per l’adozione di misure opportune per evitare la presenza involontaria di sostanze non ammesse nella produzione biologica ai sensi dell’articolo 8, comma 8 del decreto legislativo n. 148 del 6 ottobre 2023”, che dovrebbe andare in vigore il 1° gennaio 2025, il nodo principale è quello contenuto negli articoli 3 e 5, che riguardano la presenza nei prodotti di origine biologica di sostanze fitosanitarie non ammesse.
- da un lato l’articolo 3 blocca e sanziona il cibo biologico per la presenza accidentale in traccia di un pesticida (in concentrazione cioè al di sotto dello zero tecnico, ovvero di 0,01 mg/kg). Per accidentale si intende la presenza involontaria di tracce residue di sostanze chimiche all’interno di un prodotto alimentare (per vicinanza delle coltivazioni biologiche a quelle convenzionali, per esempio)
- dall’altro, con l’articolo 5 concede ai produttori una tolleranza sulla presenza accidentale di pesticidi in quantità maggiori (vale a dire superiori a 0,01 mg/kg). Tra queste sostanze ci sono: il boscalid, lo spinosad (considerato tra i responsabili della moria delle api) e il glifosato, che sarebbe tollerato fino a 20 volte il limite consentito in alcune colture.
Cos’è che non torna
Un decreto che, a detta di molti operatori, potrebbe complicare la vita a un settore in grande espansione, come il biologico italiano, che con il 19,8% di superficie agricola certificata ha avvicinato il nostro Paese all’obiettivo del 25% entro il 2030, fissato dalle Strategie europee Farm to Fork e Biodiversità. E poi?
Secondo una attenta analisi di WWF con il Salvagente – al netto di quelle che si definiscono posizioni “favorevoli o ambigue” delle maggiori Associazioni del biologico italiano – alle concentrazioni indicate in bozza il prodotto viene posto in “quarantena”. Motivo per cui, il certificatore è tenuto ad approfondire le cause, se risulta solo una molecola.
Mentre si configura irregolarità in presenza di più di un principio attivo, sempre sotto lo 0,01 mg/kg. Dunque il cortocircuito si ha nel momento in cui la stessa concentrazione viene tollerata nei prodotti da agricoltura integrata, finanziata dai fondi europei, e nei prodotti cosiddetti a “residuo zero”, dove sono ammessi i trattamenti basta che al momento della raccolta le tracce siano sotto lo 0,01.
Una vera e propria discriminazione che penalizza un settore, quello del biologico, che, nonostante la crisi economica, è in continua crescita.
In pratica in presenza di più di un residuo (ciascuno < 0,01 ppm) di sostanze non ammesse l’integrità del prodotto biologico è da considerarsi sempre compromessa. Ma se la presenza (< 0,01 ppm) si riferisce a una sola sostanza attiva l’organismo di certificazione attiva un’indagine ufficiale e qualora la fonte e la causa sono state individuate e sono da considerarsi accidentali e tecnicamente inevitabili il prodotto può ritenersi biologico.
Secondo la bozza di questo Decreto, quindi, gli agricoltori biologici dovrebbero garantire l’assenza di tracce di residui che, stando alla normativa europea, nazionale e regionale, invece, sono tecnicamente inevitabili per la quasi totalità degli agricoltori non biologici, con una palese mancanza di equità. L’agricoltura biologica ha tutte le potenzialità per diventare il modello di produzione sostenibile principale nel nostro Paese, andando ben oltre l’obiettivo del 25% della superficie agricola utilizzata certificata entro il 2027, puntando con convinzione al 50% entro il 2034 con una adeguata futura Politica Agricola Comune dell’Unione europea post 2027.
L’auspicio è che le Associazioni del biologico chiedano l’eliminazione dei due articoli del Decreto. Il Ministero deve convocare subito tutti gli attori della filiera del biologico italiano per aprire una ampia riflessione sulle molte difficoltà del settore, in continua crescita nonostante un contesto economico, sociale ed ambientale non favorevole, conclude del WWF Italia.
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