In mutande, fuori all’Università in Iran in una protesta contro il rigido codice di abbigliamento islamico del Paese. È stata arrestata e non si hanno più notizie. In Iran, togliersi l'hijab in pubblico è un atto di ribellione che va oltre il semplice rifiuto di un capo di abbigliamento: è una dichiarazione di identità, dignità e autodeterminazione
Cammina su e giù, mutandine e reggiseno, capelli sciolti e braccia conserte, quasi sollecitando le autorità con un silente e coraggioso “e ora provate a prendermi”. Hanno fatto il giro del mondo le immagini di una ragazza che a Teheran, vicino al campus dell’Università, si è spogliata di sana pianta in segno di protesta dopo essere stata importunata dalla polizia morale per aver indossato l’hijab in modo “scorretto”.
Un altro video la mostra poi mentre cammina lungo una strada, ancora svestita, prima che un gruppo di uomini la circondi, la spinga all’interno di un’auto e sfreccia via.
Leggi anche: Afghanistan, i talebani impongono nuove restrizioni alle donne: non possono più far sentire la propria voce
Due giorni dopo, non si sa dove si trovi quella ragazza, il che ha spinto la sezione iraniana di Amnesty International a chiedere il suo rilascio immediato. Ma, intanto, sono terribili le voci che ha sparso per primo il direttore delle pubbliche relazioni dell’Università Azad, tale Amir Mahjob, che ha dichiarato in un post su X che la studentessa, separata dal marito e madre di due figli, “aveva un disturbo mentale”.
Le autorità iraniane devono rilasciare immediatamente e incondizionatamente la studentessa universitaria che è stata violentemente arrestata il 2 novembre dopo essersi tolta i vestiti in segno di protesta contro l’applicazione abusiva del velo obbligatorio da parte degli ufficiali di sicurezza dell’Università islamica Azad di Teheran – scrivono da Amnesty.
Iran’s authorities must immediately & unconditionally release the university student who was violently arrested on 2 Nov after she removed her clothes in protest against abusive enforcement of compulsory veiling by security officials at Tehran's Islamic Azad University. 1/2 pic.twitter.com/lI1JXYsgtm
— Amnesty Iran (@AmnestyIran) November 2, 2024
La “polizia morale” iraniana, o Gasht-e-Ershad, è stata istituita nel 2006 per garantire la rigorosa attuazione delle leggi sul velo che esistono sin dagli anni ’80. Pattugliano i luoghi pubblici, sono sempre più presenti nelle scuole e nelle università e controllano l’abbigliamento delle donne, con una preoccupante intensificazione delle molestie e della violenza contro le donne e le ragazze in pubblico.
Roba che è venuta a galla e che ha conosciuto il mondo intero (che prima faceva finta di non vedere), quando Mahsa Amini, una donna curda di 22 anni in visita a Teheran nel settembre 2022, venne arrestata e picchiata da quella polizia morale per aver indossato l’hijab nel modo “sbagliato”. La sua morte, avvenuta pochi giorni dopo, scatenò massicce proteste in tutto il Paese con lo slogan “Donna, Vita, Libertà” contro la legge sul velo e altre leggi discriminatorie. Da allora poco o pochissimo è cambiato, ma almeno – se ne parla.
L’hijab, da velo tradizionale a simbolo di proteste
Eppure l’hijab, il velo tradizionale che copre i capelli e il collo, è parte integrante della cultura islamica e, in molti Paesi, rappresenta modestia e devozione. Tuttavia, in Iran, la sua imposizione è diventata una questione di controllo statale, utilizzata come strumento per controllare i corpi femminili e, dunque, i confini di libertà individuale. L’obbligo di indossare l’hijab, da queste parti, in questo modo non è più solo una regola religiosa, ma anche un’espressione di potere politico che vincola le donne a norme e limitazioni imposte dal regime. Questo ha trasformato un simbolo culturale e religioso in un marchio di sottomissione per molte donne, spingendole a rivendicare un diritto che va oltre il vestiario.
Va da sé, quindi, che negli ultimi anni, soprattutto a partire dalla morte di Mahsa Amini, il togliersi l’hijab abbia assunto una valenza ancora più profonda. Questo gesto è diventato un mezzo attraverso cui le donne riaffermano la propria dignità e rivendicano la propria identità contro il controllo autoritario. Nel momento in cui si tolgono il velo, non stanno solo sfidando l’obbligo dell’hijab, ma l’intero apparato ideologico che utilizza questo simbolo per limitare la loro libertà.
Togliersi l’hijab è, dunque, una dichiarazione potente: è il rifiuto di essere ridotte a oggetti sotto controllo e il coraggio di riaffermare il diritto a decidere per se stesse.
La Storia della Resistenza iraniana e le proteste recenti
Il movimento di protesta contro l’hijab obbligatorio ha radici profonde, risalenti alla Rivoluzione Islamica del 1979, quando migliaia di donne scesero in piazza per opporsi alle nuove leggi che regolavano il loro abbigliamento. Da allora, i tentativi di resistenza sono stati molteplici, benché spesso schiacciati con violenza. Tuttavia, le proteste del 2022 hanno segnato una svolta: le donne iraniane, appoggiate anche da uomini e giovani di ogni classe sociale, hanno reso pubblico e visibile il loro dissenso in modi senza precedenti.
A differenza delle manifestazioni del passato, oggi le piattaforme digitali amplificano il loro messaggio, portando il coraggio queste donne oltre i confini nazionali. Le immagini e i video delle proteste, in cui si strappano il velo e affrontano la polizia hanno risvegliato la consapevolezza e generato solidarietà internazionale, rendendo ancora più evidente la determinazione di queste donne a lottare per la propria libertà.
Ecco allora che la scelta di togliersi l’hijab in pubblico, in Iran, è un atto di protesta tanto simbolico quanto concreto, che esprime la forza della dignità umana di fronte all’oppressione. Queste donne stanno rivendicando non solo la libertà di vestirsi come credono, ma anche il diritto di essere viste, ascoltate e rispettate come individui autonomi. È un grido di ribellione che ha trovato eco in tutto il mondo.
Ma quanto le cose sono cambiate davvero?
Non vuoi perdere le nostre notizie?
- Iscriviti ai nostri canali Whatsapp e Telegram
- Siamo anche su Google News, attiva la stella per inserirci tra le fonti preferite
Leggi anche:
- Un anno fa veniva uccisa Mahsa Amini, ma in Iran la sanguinosa repressione della polizia “morale” non si ferma
- Noi non dimentichiamo le 75 vittime (tra cui 4 bambini) delle manifestazioni per la libertà delle donne in Iran
- Quando le donne iraniane potevano assaporare la libertà, andando in giro in minigonna e senza velo