COP16: l’obiettivo è salvare la biodiversità, ma con quali soldi?

La prima Conferenza internazionale sulla biodiversità dell'Onu dopo l'adozione del Kunming-Montreal global framework rappresenta un momento cruciale per la biodiversità globale, ma i progressi sui finanziamenti sono lenti. E, intanto, il 38% delle specie arboree globali è a rischio di estinzione

Mentre il vertice delle Nazioni Unite sulla biodiversità COP16 è entrato nella sua seconda settimana, i colloqui su come finanziare la conservazione della natura si trovano a un punto morto. I delegati di 196 Paesi affrontano un ostacolo significativo: i miliardi di dollari necessari per attuare l’accordo di Kunming-Montreal del 2022 non arrivano, e l’impegno di 163 milioni di dollari da parte di sette Paesi e un governo provinciale è ben lontano dalle aspettative.

Il Global Biodiversity Framework Fund (GBFF), creato per supportare i Paesi nella lotta contro la perdita di biodiversità, ha raggiunto circa 400 milioni di dollari. Tuttavia, queste promesse di finanziamento, sebbene accolte con favore, sono inadeguate rispetto ai 200 miliardi di dollari richiesti ogni anno entro il 2030. “Stiamo parlando di milioni, ma ci aspettiamo miliardi”, ha avvertito Irene Wabiwa di Greenpeace.

La lentezza nei flussi di capitale è una crescente preoccupazione, specialmente considerando che, secondo quanto emerso da un aggiornamento dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura pubblicato ieri alla COP16, il 38% delle specie arboree globali è a rischio di estinzione, soprattutto nei Paesi insulari. Quali sono le cause principali? Deforestazione, sviluppo urbano e agricoltura, cui si aggiungono gli eventi meteo estremi, esacerbati dal cambiamento climatico.

La COP16 ha l’obiettivo ambizioso di attuare 23 traguardi, tra cui il fondamentale obiettivo 30×30, che prevede di destinare il 30% del territorio terrestre e marino alla conservazione entro il 2030. Attualmente, solo il 17,6% delle terre e l’8,4% delle aree marine sono protette, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). “Dobbiamo agire con urgenza”, ha dichiarato Grethel Aguilar, direttrice dell’IUCN, sottolineando l’importanza di interventi immediati.

Progressi e sfide

A livello globale, le reti di aree protette stanno crescendo. Dal 2020, sono stati ufficialmente protetti ulteriori 629.000 km² di terra e acque interne e 1,77 milioni di km² di mari e coste. Cinquantuno Paesi vantano reti di aree protette superiori al 30% sulla terra e 31% in mare. Ma con soli sei anni rimasti per raggiungere il target del 30% in ciascun ambito, è fondamentale proteggere ulteriori 16,7 milioni di km² (12,4%) di terre e acque interne e 78,3 milioni di km² (21,6%) di aree marine e costiere. Questo richiede un’accelerazione significativa nella creazione di nuove aree protette.

Oltre due terzi delle Aree Chiave di Biodiversità (KBA) sono ora parzialmente o completamente coperte da aree protette. Tuttavia, un terzo delle KBA rimane senza protezione formale, evidenziando la necessità di sforzi maggiori per conservare habitat cruciali. Inoltre, un quarto delle eco-regioni ha già oltre il 30% di protezione, ma molte di esse non sono ben rappresentate nella rete delle aree protette, richiedendo un’attenzione particolare per garantire che queste zone siano ecologicamente rappresentative.

La pressione dei cittadini e il futuro della conservazione

I gruppi di attivisti sottolineano che le promesse finanziarie devono tradursi in azioni concrete. “Il mondo è pronto per un’azione globale sulla biodiversità se i governi possono fornire risultati tangibili”, ha avvertito An Lambrechts di Greenpeace International. La pressione sui Paesi sviluppati, che hanno la responsabilità e le risorse per guidare il cambiamento, è giustamente evidente.

Finora, 177 Paesi hanno completato valutazioni sull’efficacia della gestione delle aree protette, ma sono necessari ulteriori dati per comprendere il progresso verso gli aspetti di “efficacia” dell’Obiettivo 3. Nell’ambito marino, solo il 5,7% degli oceani è in aree marine protette che siano implementate e/o gestite attivamente, mentre solo il 2,8% è in aree completamente o altamente protette.

I dati sull’equità nella governance delle aree protette sono limitati, con valutazioni disponibili solo per lo 0,22% delle aree terrestri e lo 0,001% di quelle marine. Queste informazioni sono fondamentali per garantire il coinvolgimento dei popoli indigeni e delle comunità locali nel processo decisionale. La stragrande maggioranza delle aree protette è governata da governi nazionali e altri attori statali, con solo il 3,95% governato da popoli indigeni e comunità locali. I territori tradizionali coprono almeno il 13,6% delle aree terrestri globali.

Verso un futuro sostenibile

La COP16 avanza verso la sua conclusione, prevista per l’1 novembre, con un bilancio contrastante: da un lato la consapevolezza dell’urgenza di agire per la biodiversità, dall’altro la difficoltà di tradurre gli impegni in azioni concrete. I finanziamenti promessi sono ancora insufficienti e il raggiungimento dell’obiettivo 30×30 richiede uno sforzo globale senza precedenti. Nonostante i progressi nella ampliamento delle aree protette, la sfida rimane la loro gestione efficace ed equa, garantendo il coinvolgimento delle comunità locali e una pianificazione integrata nel territorio.

Il futuro della biodiversità dipende dalla capacità di superare questi ostacoli e trasformare le promesse in realtà.

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