Una foto scattata nel cratere Jezero da Perseverance ha suscitato scalpore: una roccia, illuminata dal Sole, sembra un volto umano, ma la spiegazione è psicologica
Il rover Perseverance ha recentemente scattato un’immagine dal cratere Jezero, su Marte, che ha suscitato grande curiosità. Sul lato sinistro della foto appare una strana formazione rocciosa, che ad alcuni appare come una semplice pietra, mentre altri intravedono un volto umano incompleto, simile a una testa appoggiata su un lato. I dettagli sono davvero notevoli: occhi profondi, naso largo e una bocca dall’espressione malinconica.
Questa roccia, scolpita dagli agenti atmosferici e dall’erosione, è in realtà un blocco di arenaria sedimentaria. Nonostante l’aspetto inquietante, il “volto” si confonde tra altre formazioni rocciose simili, immerse nel paesaggio del cratere, un’area di circa 45 chilometri di diametro che un tempo potrebbe essere stata ricoperta d’acqua.
Perché vediamo facce nelle rocce?
Il fenomeno che ci fa riconoscere un volto in una semplice roccia è chiamato pareidolia. Si tratta di un meccanismo psicologico che porta il cervello umano a individuare immagini familiari, come volti o oggetti, in figure o schemi ambigui. Un fenomeno noto a molti: chi non ha mai visto un sorriso nel caffè o un animale tra le nuvole?
Pareidolia è un fenomeno comune quando si osservano immagini da Marte. In passato, infatti, ci sono state segnalazioni di rocce che somigliano a un volto umano, un orso, funghi, un guerriero scolpito, o addirittura una versione marziana del Bigfoot. Uno dei casi più noti risale al 1976, quando la sonda Viking 1 immortalò la famosa “Faccia su Marte” nella regione di Cydonia. L’immagine mostrava una struttura che, grazie alle ombre e alla scarsa risoluzione, ricordava un volto umano. Tuttavia, successivi scatti a maggiore risoluzione confermarono che si trattava di una semplice formazione rocciosa, simile a un altopiano.
Queste illusioni nascono da un’interazione tra la disposizione di ombre e la nostra tendenza a dare un senso a ciò che vediamo. Il cervello, esaminando le immagini, salta a conclusioni familiari per noi, come quella di un volto. È un fenomeno che si riflette anche nella nomenclatura spaziale, come nel caso della nebulosa “Testa di Cavallo”, così chiamata proprio per la sua somiglianza con la testa di un cavallo.
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Fonte: NASA
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