Ogni anno più di 400 cuccioli di gorilla vengono rapiti e venduti: il documentario che svela questo agghiacciante commercio

Il traffico internazionale di cuccioli di gorilla è alimentato dai social media dove si trovano annunci di vendita. I trafficanti usano poi metodi non tracciabili per farsi pagare

Il traffico internazionale specie selvatiche in via di estinzione è una delle più gravi minacce alla biodiversità globale. In particolare ogni anno più di 400 esemplari di cuccioli di gorilla vengono illegalmente prelevati dalle foreste dell’Africa centrale per essere venduti sul mercato nero, come mostra un documentario inchiesta su Arte.tv.

Per rapire i cuccioli spesso i bracconieri uccidono gli adulti. Dopo il rapimento, i piccoli gorilla affrontano lunghi viaggi in condizioni disumane, spesso senza cibo o acqua, e molti non sopravvivono a questo trattamento brutale.

Il prezzo per un cucciolo di gorilla può raggiungere i 350.000 euro. Il valore economico del commercio illegale di fauna selvatica si stima intorno ai 20 miliardi di euro l’anno, posizionandosi come il quarto mercato nero più redditizio al mondo, subito dopo quelli di droga e armi.

Per spostare gli animali, i trafficanti utilizzano metodi non tracciabili, come il sistema di trasferimento di denaro hawala che consente lo spostamento di grandi somme senza lasciare tracce digitali, e li nascondono su pescherecci per il trasporto intercontinentale. I clienti principali si trovano in Paesi asiatici come la Cina e il Medio Oriente, dove zoo e strutture pseudo-conservazioniste accolgono questi animali senza troppo preoccuparsi della loro provenienza.

Vengono sfruttati i social media per commercializzare gli animali

I social media sono diventati un canale chiave per facilitare questo commercio, permettendo ai trafficanti di pubblicizzare animali in vendita e di comunicare con gli acquirenti in modo rapido e relativamente anonimo. Piattaforme come Facebook, Instagram, WhatsApp e Telegram sono spesso utilizzate per postare foto e informazioni sugli animali in vendita, che includono primati, tigri, e parti di specie protette come avorio di elefante e corna di rinoceronte.

Nonostante le politiche di Facebook e altri social media contro la vendita di specie protette, l’applicazione di queste regole si è dimostrata insufficiente. Anche con la partecipazione delle principali aziende tecnologiche nella Coalition to End Wildlife Trafficking Online, i post che promuovono il traffico illegale sono ancora numerosi, alimentati da algoritmi che possono addirittura promuovere contenuti correlati a quello visualizzato dagli utenti.

Secondo il WWF, la coalizione ha portato alla rimozione di milioni di contenuti legati alla vendita di fauna selvatica, ma il fenomeno resta difficile da sradicare completamente. Nonostante gli sforzi delle organizzazioni di conservazione, come il Dian Fossey Gorilla Fund, il traffico continua a crescere, rappresentando una minaccia non solo per la sopravvivenza della specie, ma anche per la stabilità degli ecosistemi locali. Un chiaro esempio dell’impatto devastante che le attività umane possono avere sulla biodiversità globale.

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