“Ferire la natura significa ferire noi stessi”, l’ancestrale insegnamento del Dio Maya Huracán è oggi attuale più che mai

Huracán e K'awiil erano manifestazioni divine di un’unica forza cosmica per i Maya: queste divinità mostrano come il mondo antico vedeva l’interconnessione tra uomo e natura, in un universo in costante trasformazione

A cosa pensate quando sentite parlare di “uragano”? Probabilmente all’immagine di strade allagate e tetti scoperchiati. Ma per i Maya, l’uragano era molto di più: era Huracán, un dio potente e complesso, creatore e distruttore allo stesso tempo. Accanto a lui, c’era K’awiil, una divinità con la gamba a forma di serpente e la fronte infuocata, capace di evocare fulmini e aprire varchi verso altri mondi. Due divinità che si intrecciano e si confondono, in un universo dove tutto è collegato e in perenne mutamento.

Facciamo un salto nella cosmologia Maya, dove tutto è un grande mix di natura e spiritualità, senza un “Dio del Tuono” come Thor o una “Dea dell’Amore” come Afrodite. Gli antichi Maya, infatti, non sprecavano tempo a inchinarsi davanti a un pantheon di divinità isolate e indipendenti. Per loro, infatti, l’intero universo era un puzzle di energie che si intersecavano, con gli dei come semplici manifestazioni di una singola forza.

Huracán, dio della tempesta e creatore del mondo

Uno degli esempi più chiari di questa visione ci viene da Huracán, un dio creatore venerato dai K’iche’, popolazione Maya delle attuali montagne del Guatemala. Huracán, il cui nome significa “una gamba”, è una figura potente nella mitologia Maya. Era il loro dio della tempesta, il responsabile della creazione della vita sulla Terra e, in alcune storie, colui che l’ha distrutta. Conosciuto come U K’ux K’aj, o “Cuore del Cielo”, Huracán rappresentava la scintilla vitale: non solo il cuore, ma anche la fonte del pensiero e dell’immaginazione.

Huracán aveva però un carattere complesso e ambivalente. Da un lato, era il dio creatore, ma dall’altro era una forza distruttiva, capace di spazzare via le sue stesse creature per gelosia o capriccio. A volte, si racconta che abbia offuscato la vista degli uomini per impedirgli di percepire l’universo come lui. Inoltre, Huracán esisteva come tre entità distinte, ognuna incarnazione di un diverso tipo di fulmine: Huracán Fulmine, Fulmine Giovane e Fulmine Improvviso.

K’awiil: dio del fulmine e della regalità

Un millennio prima che il Popol Vuh, il testo sacro dei K’iche’, fosse scritto, un altro dio dominava il pantheon Maya: K’awiil. Venerato in un’ampia area che andava dal Messico meridionale all’Honduras occidentale, K’awiil era associato al fulmine, all’agricoltura e alla regalità.

Spesso raffigurato con una fiaccola infuocata o un’ascia che fuoriusciva dalla sua fronte, K’awiil rappresentava il potere stesso. Una delle sue caratteristiche più insolite era una gamba a forma di serpente, simbolo della connessione tra il mondo umano e quello divino. In effetti, i sovrani Maya evocavano K’awiil per aprire portali verso altri mondi e chiamare gli spiriti degli antenati.

Un universo interconnesso in continuo movimento

Per i Maya, il mondo era un luogo mutevole, interconnesso e dinamico. Non esistevano barriere fisse tra spazio, tempo e le forze della natura. Ogni cosa era viva, in potenza e in essenza, e poteva trasformarsi in qualcos’altro. La loro visione pantheista rifiutava l’idea che gli esseri e le cose esistessero separati tra loro: montagne, sculture e persino i governanti potevano essere animati.

Questa visione persiste ancora oggi in alcune comunità e ci ricorda che, come Huracán e K’awiil, l’umanità e la natura sono inestricabilmente legate. In ultima analisi, l’inizio della stagione degli uragani ci ricorda che siamo parte della natura, e che danneggiarla significa ferire noi stessi.

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Fonte: The Conversation

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