Spluga della Preta: uno degli abissi più profondi del Pianeta si trova in Italia, ma quanto è profondo?

Scopriamo la Spluga della Preta, una delle cavità naturali più profonde del mondo. Ci troviamo in Veneto, a circa 40 km dalla città di Verona.

La Spluga della Preta è una cavità carsica situata nel comune di Sant’Anna d’Alfaedo, a nord della vetta del Corno d’Aquilio. L’ingresso si trova nella zona delle pialde, una propaggine della provincia di Verona che si estende in quella di Trento, e raggiunge una profondità di 877 metri, ed è una delle cavità naturali più profonde al mondo.

Stiamo parlando di impressionante abisso, che si apre improvvisamente tra i verdi pascoli montani a un’altitudine di circa 1500 metri, un luogo tanto affascinante quanto pericoloso, che richiama l’attenzione di escursionisti e speleologi da quasi un secolo.

Il nome, “Spluga della Preta”, significa letteralmente “grotta che si apre nel pascolo”, un riferimento diretto al paesaggio circostante, dove non è raro incontrare mucche al pascolo vicino alla recinzione che circonda la voragine. Nonostante l’apparente tranquillità dell’ambiente circostante, la grotta cela un’incredibile profondità: il primo pozzo, che da solo misura 131 metri, è seguito da altri due pozzi consecutivi di 88 e 108 metri. Complessivamente, la Spluga si estende per quasi 900 metri di profondità, un labirinto sotterraneo che incuriosisce ed intriga esploratori e studiosi fin dai primi anni del Novecento.

Le prime esplorazioni e il fascino della sfida

La storia delle esplorazioni della Spluga della Preta inizia ufficialmente nel 1925, quando un gruppo di speleologi discese per la prima volta il primo pozzo. L’interesse per la grotta crebbe rapidamente, anche grazie al fatto che durante il regime fascista l’Italia cercava di affermarsi come patria delle cavità più profonde del mondo. Nel 1927, una spedizione italiana raggiunse la quota di -400 metri, anche se all’epoca venne dichiarato un traguardo di -627 metri, per aumentare il prestigio nazionale.

Con il passare del tempo, l’interesse per la Spluga continuò a crescere, negli anni ’50 nuove spedizioni esplorarono ulteriori meandri e pozzi, aumentando la conoscenza di questa impressionante grotta e portando gli speleologi a profondità sempre maggiori. Le spedizioni, spesso numerose, erano veri e propri tour de force, con equipaggiamenti pesanti e difficili da trasportare: le scalette di corda, utilizzate per scendere nei pozzi, venivano montate manualmente, e ogni discesa era un’impresa fisica e mentale. Con l’aumentare delle esplorazioni, emerse anche un ulteriore problema, costituito da un incessante accumulo di rifiuti.

Il primato di abisso più profondo della Terra

Per molti anni considerato l’abisso naturale più profondo al mondo, la Spluga della Preta venne ribattezzata “Abisso Benito Mussolini”, un primato errato che si è protratto per ben 26 anni.

Il 10 luglio 1963, gli esploratori raggiunsero il fondo della cosiddetta “Sala Nera” a 875 metri, ritenendolo il punto più profondo dell’abisso per i successivi 18 anni. Questa impresa rese la Spluga della Preta il più profondo abisso d’Italia e il secondo al mondo per profondità. Durante questa esplorazione, a 510 metri di profondità, venne scoperto un raro coleottero troglobio, l’Italaphaenops dimaioi Ghidini, appartenente a un genere e a una specie inediti.

Nel dicembre del 1981, una spedizione congiunta dei Gruppi Speleologici del C.A.I. di Verona, Vittorio Veneto e del Gruppo Grotte di Sacile individuò una “finestra” nella volta della Sala Nera, che conduceva a una diramazione verticale di circa 100 metri. Questo passaggio permise agli speleologi di raggiungere il “Fondo Nuovo” dell’abisso. Inizialmente si pensò che si trovasse a una profondità di 985 metri, ma rilievi topografici successivi stabilirono la vera profondità a 877 metri, con il fondo della Sala Nera situato a 777 metri.

Il problema dei rifiuti

Dal 1925 fino agli anni ’80, ogni spedizione lasciava dietro di sé tracce del proprio passaggio: rifiuti organici, bottiglie, scatolette, brandelli di tessuti e persino attrezzature speleologiche rotte o inutilizzabili. Questi materiali, abbandonati in anfratti nascosti o lasciati sul fondo della grotta, divennero parte integrante del paesaggio sotterraneo, e la Spluga, pur rimanendo un luogo di esplorazione scientifica e sportiva, iniziò ad accumulare quantità preoccupanti di sporcizia.

Fu proprio in questo contesto che nel 1988 prese vita l’Operazione Corno D’Aquilio (O.C.A.), un progetto che cambiò per sempre il rapporto degli speleologi con l’ambiente ipogeo. L’idea alla base dell’operazione, promossa da Giuseppe Troncon, era semplice e rivoluzionaria: riportare in superficie i rifiuti accumulati nel corso degli anni. Fino a quel momento, molti avevano suggerito di nascondere i rifiuti nei rami laterali della grotta o addirittura di bruciarli, mentre il progetto di Troncon ne prevedeva la totale rimozione.

La bonifica della Spluga

L’Operazione Corno D’Aquilio rappresentò una vera e propria svolta nella storia della speleologia italiana, dal 1988 al 1993, oltre duecento speleologi provenienti da tutto il mondo si alternarono per bonificare la Spluga della Preta. Ogni speleologo che partecipava all’operazione si trovava a dover risalire i pozzi con sacchi di rifiuti impacchettati, trasportandoli lungo i tortuosi meandri della grotta. L’impresa richiese migliaia di ore di lavoro e, alla fine, quattro tonnellate di rifiuti vennero rimosse dalla cavità.

Il successo dell’operazione non fu solo logistico, visto che grazie alla bonifica della Spluga, si affermò un nuovo modo di vivere la speleologia, basato su una maggiore consapevolezza ambientale: per la prima volta la grotta non era più vista soltanto come un luogo da esplorare e studiare, ma anche come un ecosistema da proteggere e preservare.

La rinascita della Spluga della Preta

Con la conclusione dell’Operazione Corno D’Aquilio, la Spluga della Preta tornò a risplendere, libera dai rifiuti che per decenni l’avevano soffocata. L’impresa divenne un simbolo per tutta la comunità speleologica, rappresentando una grande vittoria per l’ambiente ed un modello di collaborazione internazionale.

Nel 2005 esce il film documentario L’Abisso, scritto da Francesco Sauro e diretto da Alessandro Anderloni, che racconta le esplorazioni alla Spluga della Preta ed ottiene un grande successo. La cavità, protagonista del film, divenne una sorta di “attrice” nel panorama speleologico internazionale, suscitando ancora più interesse tra esploratori e studiosi.

Nel 2011,grazie alla pubblicazione del volume La Spluga della Preta, dove si raccontano venticinque anni di ricerche ed esplorazioni dall’Operazione Corno d’Aquilio ad oggi, si consolida ulteriormente il valore dell’impresa, raccontando la storia della bonifica e l’evoluzione della speleologia negli anni successivi.

Un luogo di fascinazione e pericolo

Oggi, la Spluga della Preta continua ad affascinare speleologi e amanti della montagna, ma rimane un luogo estremamente pericoloso. Il perimetro della grotta è recintato per impedire la caduta di persone o animali al suo interno, e gli esperti raccomandano sempre di mantenere una distanza di sicurezza, ed è inoltre proibito lanciare oggetti nella voragine o sorvolarla con i droni, poiché potrebbero esserci gli speleologi in esplorazione.

La Spluga resta comunque un’attrazione per molti escursionisti che, partendo dalla contrada Tommasi, raggiungono la grotta seguendo diversi percorsi di trekking. Chiunque desideri avventurarsi in queste zone deve essere consapevole della necessità di un equipaggiamento adatto, scarpe da montagna e abbigliamento resistente alle intemperie, poiché le condizioni meteo possono cambiare rapidamente.

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