Disastro ambientale in Basilicata: 16 indagati per aver sversato sostanze cancerogene nel mare Jonio e nel fiume Sinni

Secondo le accuse, già dal 2014 alcuni dirigenti avrebbero appreso della contaminazione delle acque di falda, ma lo avrebbero comunicato solo nel 2015

La Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza ha chiuso le indagini preliminari su un presunto disastro ambientale avvenuto a Rotondella, in provincia di Matera. Sedici persone, tra cui dirigenti di Sogin, Enea e funzionari pubblici, sono indagate per reati che vanno dal disastro ambientale al traffico illecito di rifiuti, fino al falso in atto pubblico.

Al centro dell’inchiesta c’è l’impianto Itrec di Trisaia, un sito di decommissioning nucleare gestito dalla società Sogin. Secondo l’accusa, l’impianto avrebbe sversato acque contaminate da cromo esavalente e tricloroetilene, sostanze altamente tossiche e cancerogene, nel mar Jonio e nel fiume Sinni.

La verità nascosta nelle falde acquifere

Secondo gli inquirenti, alcuni dirigenti di Sogin avrebbero saputo della contaminazione delle falde acquifere già nel 2014, ma avrebbero taciuto per un anno intero, permettendo che l’inquinamento si propagasse oltre il perimetro dell’impianto.

Non solo: Sogin avrebbe ottenuto autorizzazioni per lo scarico di acque reflue industriali nel fiume Sinni presentando documenti falsi, e avrebbe disattivato le pompe della barriera idraulica per risparmiare sui costi, aggravando ulteriormente la situazione.

“Il complesso delle condotte contestate agli indagati oltre a determinare un ritardo nell’applicazione delle procedure di messa in sicurezza del sito, avrebbe, poi, permesso di scaricare nel Mar Jonio senza alcun trattamento le acque di falda contaminate che venivano emunte dai loro sistemi di sicurezza. Emergeva, altresì, sempre a livello indiziario che Sogin, anche in virtù di ipotizzate omissioni nell’attività di controllo da parte della provincia di Matera e del comune di Rotondella”, ha fatto sapere in un comunicato il Procuratore Distrettuale Francesco Curcio.

Nato nel 1963 come centro di riprocessamento del combustibile nucleare, l’impianto Itrec di Trisaia è stato convertito in sito di decommissioning dopo il referendum del 1987 che ha messo fine al nucleare civile in Italia. Da allora, Sogin ha il compito di smantellare l’impianto e mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi.

Le dichiarazioni di Sogin

Sogin, dal canto suo, respinge le accuse. In una nota ufficiale, l’azienda ha dichiarato: “Lo scorso 24 settembre 2024 la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Potenza – Direzione Distrettuale Antimafia – ha notificato a Sogin la conclusione delle indagini preliminari relative, in particolare, alla gestione della contaminazione riscontrata presso il sito ENEA-Sogin di Trisaia a partire dal 2015. Sogin ribadisce che tale contaminazione non è stata generata dalle attività di smantellamento in corso presso il Sito di Trisaia e che Sogin, non appena l’ha rilevata, ha immediatamente provveduto a denunciarla alle autorità competenti. Si tratta di circostanze ampiamente appurate nel corso delle diverse Conferenze di Servizio che si sono tenute dal 2015 a oggi e perfettamente in linea con la condotta corretta interpretata da una Società dello Stato che ha come scopo precipuo la tutela dell’ambiente, da anteporre a qualsivoglia logica di profitto. In piena applicazione del proprio mandato istituzionale e nel rispetto di un’esperienza di rilievo internazionale maturata negli anni, Sogin proseguirà a svolgere le attività di messa in sicurezza dell’area e di smantellamento dell’Itrec, ponendosi al tempo stesso con spirito collaborativo a disposizione dell’Autorità giudiziaria”.

Contaminazione da uranio

Con un comunicato del 26 settembre, i Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico NOE di Potenza e del Nucleo Radioattivi del Comando CC per la Tutela ambientale e la Sicurezza energetica di Roma hanno fatto sapere di aver sequestrato un area di circa 600 metri quadri, all’interno del sito nucleare ITREC. Il 21 e 22 febbraio scorso, il personale dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) aveva condotto alcuni accertamenti che hanno confermato la presenza di uranio arricchito U234-U235 non riconducibile ai radionuclidi uranio-torio custoditi nel sito lucano.

I livelli di contaminazione rilevati, come certificato dall’Isin, “non rappresenterebbero un pericolo immediato per i lavoratori, per l’ambiente e la popolazione”, precisa la nota dei Carabinieri. L’area sottoposta sequestro verrà però posta in sicurezza.

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