Come è ormai noto, spesso le creme solari che ci spalmiamo d'estate al mare non sono esattamente un prodotto innocuo per l'ecosistema. Ma cosa accade ai litri di protezioni che finiscono in mare e che effetti hanno di preciso? Vuole scoprirlo un nuovo studio francese
Proteggere la nostra pelle dai raggi UV è fondamentale ma, purtroppo, i costi ambientali di questa buona abitudine non sono affatto da sottovalutare. D’estate, e considerando solo Marsiglia, ogni giorno finiscono in mare più di 50 chili di creme solari, lo dicono i dati del CNRS di Aix-en-Provence. Ma cosa succede davvero a questi prodotti una volta arrivati a contatto con l’ecosistema marino?
Per rispondere a questa domanda, a fine agosto una ventina di ricercatori si sono riuniti su plage des Catalans (Marsiglia) per raccogliere campioni importanti direttamente sulla spiaggia. Questi saranno utili a capire come la contaminazione da creme solari influenzi la biodiversità del Mediterraneo.
La ricerca è parte di un vasto progetto scientifico, intitolato “Micro Beach“, guidato dall’Istituto Mediterraneo di Oceanologia di Luminy, dall’Università di Tolone, dalla facoltà di scienze Saint-Charles di Marsiglia e dal laboratorio Espace di Avignone.
Come ha dichiarato Benjamin Misson, iricercatore dell’Università di Tolone:
Sappiamo che ci sono dei residui, quando le persone si bagnano, che vengono rilasciati nell’acqua. Ma non sappiamo se possono accumularsi nel sottosuolo, sulle particelle di sabbia, a contatto con l’acqua di mare che si infiltra. Ecco perché scaviamo, andiamo a trovare acqua di mare e sabbia in profondità. Cercheremo di misurare questi composti e vedere se ci sono batteri che possono degradarli.
I campioni di acqua di mare e sabbia verranno poi analizzati per studiare gli effetti dei residui di filtri solari sulla biodiversità.
Come ricordano i ricercatori, il ‘filtro UV’ è qualcosa che impedisce ai raggi solari dannosi di scottarci e intercetta anche la luce nell’acqua. Il problema è che ci sono organismi acquatici che hanno bisogno proprio di questa luce per vivere. Quindi può esserci questo effetto limitante della luce, sottolinea il professor Misson, e poi alcune molecole di per sé possono avere una certa tossicità, e questo è già stato dimostrato in laboratorio.
A soffrire dell’inquinamento marino dovuto (anche) alle creme solari sono, come è già noto, ad esempio i coralli e la posidonia.
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Questo studio scientifico è abbinato anche ad uno comportamentale. Samuel Robert, direttore della ricerca del CNRS e geografo, ha infatti intervistato le persone che frequentano la spiaggia per saperne di più sulle loro abitudini: si proteggono dal sole? Usano creme prima di nuotare o dopo il bagno? Che tipo di protezione solare usano? Danno importanza al fatto che esiste un’etichetta biologica o no?
Queste informazioni sulle creme solari verranno integrate da una fotografia del flacone sulla quale verranno raccolte tutte le informazioni sul contenuto di quella specifica crema solare.
I ricercatori preleveranno anche nuovi campioni in una giornata invernale, quando la spiaggia è meno affollata e l’uso delle creme solari è notevolmente ridotto. Questo periodo di studio sarà accompagnato da un esperimento di laboratorio mirato ad esaminare la biodegradazione naturale di un filtro UV organico presente in molte creme solari. Il 24 settembre, verranno eseguiti ulteriori prelievi sulla spiaggia per valutare anche le capacità della comunità microbica marina di degradare i composti presenti nelle creme solari.
I risultati dello studio non saranno noti prima di maggio 2025 ma l’attesa potrebbe non essere vana e portare ad importanti raccomandazioni, come ad esempio quella di evitare alcuni composti chimici nei prodotti per la protezione solare (cosa che in parte già esiste).
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Fonte: France Info
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