Il baccalà è sostenibile? Siamo stati al Roma Baccalà per provare a rispondere a questa domanda partendo dalle origini per arrivare alle sfide future a cui queto cibo così prezioso dal punto di vista storico e culturale è chiamato a far fronte
Indice
Le sue origini come alimento “povero”, disponibile anche nei periodi di carestia, ne hanno fatto un simbolo di resilienza e adattabilità. La sua lunga conservabilità e il prezioso valore nutritivo ne hanno fatto un prodotto fondamentale nelle diete di marinai, esploratori e soldati, consentendo ai paesi come la Spagna, il Portogallo e l’Inghilterra di mantenere gli eserciti in campo durante le guerre e le flotte in mare durante le grandi esplorazioni. Una storia affascinante che affonda le radici nei primi viaggi dei Vichinghi e nelle rotte commerciali dei grandi esploratori europei. Stiamo parlando del baccalà essiccato o salato, conosciuto anche come stoccafisso che nei secoli è diventato una delle principali risorse alimentari per le popolazioni di tutta Europa. La sua versatilità in cucina, infatti, ha permesso di adattarsi alle peculiarità delle varie tradizioni culinarie e di essere ampiamente consumato fino ai giorni nostri.
Ma in un’epoca in cui la sostenibilità alimentare è al centro dell’attenzione globale ci si inizia a interrogare anche sul suo reale impatto ambientale. Insomma, il baccalà è sostenibile? Questo aspetto assolutamente non trascurabile è stato al centro di riflessioni anche nell’ambito della quinta edizione di Roma Baccalà, la quattro giorni interamente dedicata alla cultura dello stoccafisso che si è svolta nella capitale dal 5 all’8 settembre attirando migliaia di esperti, cuochi e semplici appassionati. Attraverso degustazioni, laboratori, incontri con chef e dibattiti, Roma Baccalà non solo onora la tradizione, ma invita a riflettere sul futuro di questo piatto in un contesto globale in cui la sostenibilità è sempre più cruciale. Siamo andati a vedere di persona per capire le sfide e gli sviluppi verso una maggiore consapevolezza di questo piatto così antico e apprezzato in tutta Italia e in particolar modo nella Capitale.
Per rispondere al dilemma dell’impatto del baccalà, proviamo a fare un passo indietro esaminando la sua storia, le pratiche di pesca, e le implicazioni culturali che accompagnano questo pesce così diffuso.
Storia e origini del Baccalà
Il baccalà è storicamente prodotto a partire dal merluzzo dell’Atlantico (Gadus morhua), che viene essiccato o salato per preservarne la freschezza. Questa tecnica di conservazione, utilizzata da secoli dai pescatori nordici, ha permesso al merluzzo di viaggiare per migliaia di chilometri fino alle tavole di tutta Europa, diventando un alimento fondamentale, in particolare durante i periodi di digiuno imposti dalla Chiesa cattolica. Durante il Medioevo e il Rinascimento, infatti,la Chiesa cattolica prescriveva frequenti giorni di magro, nei quali il consumo di carne era vietato. Il baccalà, grazie alla sua lunga conservabilità e alla capacità di essere trasportato senza refrigerazione, divenne un ingrediente fondamentale.
Nel XVI secolo, il commercio del baccalà fiorì nelle acque del Nord Atlantico, con enormi flotte che pescavano nelle aree di Terranova e della Groenlandia, trasportando il prezioso carico in tutta Europa e nel Mediterraneo.
Il baccalà non solo alimentò intere nazioni durante i conflitti, come nel caso delle guerre napoleoniche o delle guerre di religione europee, ma divenne anche una merce strategica nel commercio triangolare tra Europa, Africa e le Americhe. Nelle colonie del Nuovo Mondo, il baccalà fu utilizzato come moneta di scambio per gli schiavi africani, mentre in Europa servì a sostenere eserciti durante lunghi assedi e battaglie. Grazie alla sua capacità di essere conservato a lungo, il baccalà permise la sopravvivenza di comunità e combattenti in situazioni di estrema difficoltà, rappresentando una risorsa cruciale che ha influenzato gli equilibri geopolitici e militari per secoli.
Da allora, questo pesce è diventato un simbolo di cibi poveri e popolari, amato per la sua versatilità e il suo sapore, diffusissimo in tutta la nostra penisola
Il baccalà nella tradizione culinaria italiana
In Italia, il baccalà ha una tradizione culinaria ricca e diversificata, che varia significativamente da regione a regione, riflettendo le influenze locali e le diverse tradizioni gastronomiche.
Nel Veneto, è celebre il “baccalà alla vicentina“, preparato con latte, olio, cipolle, acciughe e cotto lentamente fino a diventare cremoso. In Liguria, il baccalà viene spesso cucinato in umido con patate, pomodori e olive, mentre in Campania è tipico il “baccalà alla napoletana“, arricchito con pomodoro, capperi, olive e uva passa. In Calabria e Sicilia, il baccalà viene spesso accompagnato da peperoni, patate o fritto, con ricette che incorporano i sapori forti e speziati tipici del Sud Italia. Nel Lazio e in particolare a Roma, il baccalà è preparato in vari modi, ma la versione più famosa è il baccalà alla romana, cucinato in umido con pomodori, cipolle, olive e pinoli, o fritto in pastella croccante. Nel corso del tempo, questo piatto è diventato parte integrante delle festività romane, soprattutto durante il periodo natalizio, quando le famiglie si riuniscono attorno alla tavola per celebrare con ricette tradizionali.
Queste differenze regionali testimoniano l’adattabilità del baccalà nella cucina italiana, dove viene valorizzato in una miriade di ricette tradizionali, ognuna con la propria storia e carattere.
Il dilemma della sostenibilità: il baccalà è una scelta ecologica?
Ma quindi il baccalà è sostenibile? Valutare la sostenibilità del baccalà implica considerare diversi aspetti legati alla pesca del merluzzo, alle pratiche di conservazione e al suo trasporto. In particolare:
Gestione delle risorse ittiche: negli ultimi decenni, l’industria della pesca del merluzzo, da cui proviene il baccalà, ha compiuto importanti passi avanti verso la sostenibilità. Le organizzazioni come il Marine Stewardship Council (MSC) certificano le aree di pesca in cui vengono rispettati i limiti biologici, le pratiche di pesca selettive e la gestione trasparente delle risorse. Nelle zone dell’Atlantico settentrionale, come quelle della Norvegia e dell’Islanda, sono state implementate rigorose politiche di gestione per garantire che le popolazioni di merluzzo rimangano a livelli sostenibili, evitando il sovrasfruttamento.
Riduzione degli sprechi e consumo consapevole: una delle qualità più importanti del baccalà è la sua lunga conservabilità, grazie al processo di essiccazione e salatura. Questo riduce notevolmente il rischio di sprechi lungo la catena di distribuzione e durante il consumo. In una città come Roma, dove la cucina del recupero è una tradizione radicata, il baccalà si presta perfettamente a piatti che utilizzano ogni parte del pesce, evitando sprechi inutili.
Impronta di carbonio ridotta: essendo un pesce conservato e non fresco, il baccalà non necessita di refrigerazione continua, un fattore che contribuisce a ridurre l’impatto ambientale durante il trasporto e lo stoccaggio. Questo rappresenta un vantaggio significativo rispetto ad altri prodotti ittici freschi che richiedono costanti temperature basse, con un maggiore consumo di energia.
Quando noi parliamo di stoccafisso e baccalà per forza dobbiamo dire che secondo alcuni parametri questo non è un prodotto sostenibile perché è uno dei primi prodotti che ha viaggiato tantissimo, per esempio, quindi non essendo, nel caso dell’Italia, un pesce che vive nei nostri mari, già solo questo come parametro non lo rende sostenibile – ci ha confessato Francesca Rocchi, direttrice Artistica di Roma Baccalà – Di contro del baccalà non si butta via niente e si conserva per lunghi periodi senza l’uso di elettricità. Dal punto di vista del chilometro zero, quindi, non ci siamo, ma se consideriamo il food waste chiamiamolo così, il baccalà è uno dei prodotti di cui, a differenza di altri pesci, si consuma praticamente tutto, dalla pelle alle ossa addirittura in alcune ricette, e non ci sono scarti o deteriorabilità a breve termine. Inoltre c’è un discorso serio da fare su come viene allevato e pescato questo pesce , più che altro nelle aree dove viene prodotto: il merluzzo, infatti è per molta parte della produzione selvaggio e anche lì si dovrebbe entrare nel merito del metodo di pesca utilizzato. Però sotto un altro punto di vista siamo in zone di produzione dove ci sono altri allevamenti come ad esempio quello del salmone che non è assolutamente sostenibile e sta creando diversi problemi. Quindi è qualcosa di cui si dovrebbe parlare di più: le persone amano molto il baccalà e questi temi dovrebbero essere spunti di riflessione per migliorare. Dunque sarei disonesta nel dire che il baccalà è sostenibile, però cerchiamo di portare questi temi in manifestazione come queste proprio per cercare di risolvere queste sfide anche perché non ci si rende conto come il mare sia il macrocosmo più importante di cui prenderci cura. Quindi il baccala è sostenibile? No o almeno non in tutti i suoi aspetti, ma Roma Baccalà vuole parlare di sostenibilità
Un Futuro Sostenibile per il Baccalà?
Tuttavia, esistono anche sfide importanti. Non tutte le fonti di baccalà sono ugualmente sostenibili. Alcuni stock di merluzzo atlantico sono sotto pressione, soprattutto in regioni dove la gestione non è rigorosa. Inoltre, il baccalà fritto, uno dei piatti più apprezzati a Roma, richiede un uso intensivo di olio e energia, che può aumentare l’impronta ambientale se non gestito con attenzione.
Il baccalà può essere parte di una dieta sostenibile, a patto che vengano fatte scelte consapevoli sull’origine del pesce e sulle pratiche di pesca. Eventi come Roma Baccalà offrono una piattaforma per esplorare questi temi, incoraggiando un consumo responsabile e valorizzando le tradizioni locali in modo innovativo.
Ti potrebbe interessare anche:
Per la prima volta nella storia, alleviamo più pesce di quanto ne catturiamo in natura
Non vuoi perdere le nostre notizie?
- Iscriviti ai nostri canali Whatsapp e Telegram
- Siamo anche su Google News, attiva la stella per inserirci tra le fonti preferite