Sicilia e Sardegna senza acqua: qui la siccità estrema è del 50% più probabile

La probabilità di una siccità estrema in Italia è raddoppiata e con essa la sua gravità: Sicilia e Sardegna le Regioni più esposte agli effetti di un riscaldamento globale devastante. E questo conferma la necessità di ridurre le emissioni a zero

Le due isole maggiori italiane diventate loro malgrado il simbolo di una siccità che ormai segna l’Italia da parecchio tempo. Dichiarato lo stato di calamità – la Sicilia a febbraio, la Sardegna a luglio – da queste parti il riscaldamento globale ha aumentato la gravità e la probabilità di siccità estrema del 50%.

A confermarlo è uno studio del World Weather Attribution, organismo scientifico che valuta il legame tra i fenomeni meteorologici estremi e il cambiamento climatico provocato dall’azione umana, che sottolinea come la crisi climatica abbia fortemente aumentato la probabilità di siccità in Sardegna e Sicilia e che siccità simili peggioreranno con ogni frazione di grado di riscaldamento in più.

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Non è certo un allarme nuovo – dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia. Il WWF Internazionale lo aveva lanciato, con una conferenza stampa a Roma, ben 20 anni fa. Da allora, ben poco è stato fatto: per anni tante forze politiche hanno continuato a negare il cambiamento climatico, rallentando l’adozione delle misure urgenti necessarie. Ancora oggi l’Italia non è certo in testa all’azione climatica, posizionandosi all’ultimo posto tra i primi dieci Paesi europei per rinnovabili, pur essendo un Paese del G7. A partire dalla prossima legge finanziaria, quindi, ci aspettiamo misure per finanziare un’economia a carbonio zero, capace di aiutare cittadini e imprese nel percorso della transizione energetica, insieme all’identificazione delle misure prioritarie e dei finanziamenti per attuare un serio piano di adattamento.

siccità sicilia sardegna

@World Weather Attribution

Intanto, le principali attività economiche della Sicilia, l’agricoltura e il turismo, dipendono fortemente dalla disponibilità idrica, per cui le conseguenze economiche di questa siccità sono catastrofiche e la ripresa richiederà tempo. In Sardegna l’agricoltura è economicamente meno importante, ma di elevata rilevanza culturale. In tutto questo, è ovvio che anche gli ecosistemi naturali ne risentano.

Secondo lo studio, in diversi set di dati osservativi, questa è tra le siccità più gravi da quando sono iniziate le registrazioni. Sulla base del sistema di classificazione del monitoraggio della siccità degli Stati Uniti, la siccità di 1 anno su 10 in Sardegna, che è una siccità “estrema” (D3) ora sarebbe classificata come una siccità “grave” (D2) senza gli effetti del cambiamento climatico, e con un ulteriore riscaldamento sarebbe una siccità “estrema” più grave (D3). La rara siccità di 1 su 100 anni in Sicilia, che è anche una siccità “estrema” (D3), sarebbe una siccità “grave” (D2) senza cambiamenti climatici e, con un ulteriore riscaldamento di 0,7°C, diventerebbe una siccità “eccezionale” (D4). Per entrambe le isole, la probabilità di siccità come definita da SPEI12 da agosto 2023 a luglio 2024 è aumentata di circa il 50% a causa dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo.

A meno che non si smetta rapidamente di bruciare combustibili fossili, questi eventi diventeranno ancora più comuni in futuro. In un mondo più caldo di 2°C rispetto a quello preindustriale, che potrebbe avvenire già nel 2050 senza grandi e rapide riduzioni delle emissioni di gas serra, siccità come quelle in Sicilia e Sardegna diventeranno dunque sempre più frequenti.

Governi regionali: il caso della Sardegna

Nel contesto del dibattito italiano, infine, il WWF si augura che i Governi regionali mostrino di aver compreso e voler affrontare la minaccia climatica concretamente. In Sardegna, ad esempio, è in corso una vera e propria campagna contro le rinnovabili, guidata da interessi economici conclamati (gas e persino carbone, ancora) che in maniera artificiosa confonde richieste con quanto effettivamente installato sul territorio.

In realtà, di rinnovabili in Sardegna ce ne sono poche – conclude Midulla -, tant’è che la Regione continua ad andare a carbone e si registrano le maggiori emissioni di CO2 pro-capite. Certo, in un territorio ricco di natura e tradizioni come quello sardo occorre particolare attenzione nella localizzazione degli impianti e un maggior coinvolgimento dei cittadini, ma bisogna tornare al senso delle proporzioni e alla realtà degli effetti devastanti dell’uso dei combustibili fossili sempre più concreti. La lunga sequela di eventi estremi collegabili direttamente alla crisi climatica impone coerenza e scelte tempestive.

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