Cos’è la diplomazia degli oranghi? In Malesia approvato l’assurdo piano di adozione per gli importatori di olio di palma

La Malesia vuole permettere alle aziende importatrici di olio di palma di adottare gli oranghi in modo da non far lasciare loro l’habitat naturale: l’idea folle ed eticamente agghiacciante

La recente proposta della Malesia di utilizzare gli oranghi come doni diplomatici per migliorare la sua immagine internazionale nell’ambito della produzione di olio di palma è stata accolta con forti critiche e scetticismo. L’idea di offrire questi animali come simboli di “buona volontà” ai paesi importatori di olio di palma, come l’Unione Europea, l’India e la Cina, non può che sollevare questioni etiche e ambientali significative.

Innanzitutto, la proposta sembra non affrontare la radice del problema: la produzione di olio di palma è ampiamente associata alla deforestazione e alla distruzione degli habitat naturali che hanno portato gli oranghi (e tante altre specie) sull’orlo dell’estinzione. Spostare questi animali dal loro ambiente naturale in altri paesi non solo non risolve il problema, ma potrebbe aggravarlo, spostando l’attenzione dalla necessità di proteggere le foreste pluviali del Borneo.

Inoltre, trattare gli oranghi come strumenti diplomatici è una pratica eticamente a dir poco discutibile. Gli animali non dovrebbero essere usati come merce di scambio: il loro benessere può infatti essere seriamente compromesso se spostati in ambienti non adatti. Trasferirli in altri paesi, dove probabilmente finiranno in zoo o riserve, non è solo irrispettoso, ma mette anche a rischio la loro sopravvivenza.

Un cambio di rotta che ben poco risolve il problema

Ora però è stato annunciato un nuovo programma che ancora una volta non sposta di molto l’ago della bilancia: permettere alle aziende importatrici di olio di palma di adottare oranghi come parte di un’iniziativa che viene spacciata a favore della conservazione ambientale.

Johari Abdul Ghani, Ministro delle Piantagioni e dei Prodotti di Base della Malesia, ha chiarito che, a differenza del piano originale che prevedeva la possibilità di inviare oranghi come doni commerciali, gli animali non lasceranno il loro habitat naturale.

La Malesia, che ospita circa 105.000 oranghi sull’isola del Borneo, si è impegnata a mantenere almeno il 50% del suo territorio coperto da foreste e sta contrastando l’idea che la produzione di olio di palma debba necessariamente comportare la distruzione dell’habitat naturale degli oranghi.

Il nuovo programma prevede che le aziende che adottano gli oranghi contribuiscano finanziariamente alla conservazione delle foreste del Sabah, nello specifico quelle in cui gli oranghi vivono. I fondi raccolti saranno destinati sia alle organizzazioni non governative sia al governo locale per monitorare e proteggere queste aree forestali, cruciali per la sopravvivenza degli oranghi.

Questo cambio di rotta risponde alle critiche sollevate, ma non risolve il problema di tutelare il benessere di una specie già gravemente minacciata. Le questioni di sostenibilità e conservazione non possono essere risolte con iniziative di questo tipo che sono solamente simboliche, ma richiedono azioni concrete e sistematiche, come la protezione degli habitat naturali e la promozione di pratiche agricole sostenibili.

La Malesia farebbe meglio a concentrarsi sulla conservazione degli habitat degli oranghi e sulla riduzione della deforestazione piuttosto che su iniziative che rischiano di essere controproducenti e dannose sia per gli animali che per l’immagine del paese.

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